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Assassino Zero
Jack Mars


Ein Agent Null Spionage-Thriller #7
“Non andrai a dormire finché non avrai finito di leggere i libri dell'AGENTE ZERO. I personaggi, magistralmente sviluppati e molto divertenti, sono il punto di forza di questo lavoro superbo. La descrizione delle scene d'azione ci trasporta nella loro realtà; sembrerà di essere seduti in un cinema 3D dotato dei migliori simulatori di realtà virtuale (sarebbe un incredibile film di Hollywood). Non vedo l'ora che venga pubblicato il seguito”.

–-Roberto Mattos, Books and Movie Reviews



Un misterioso attacco con un'arma ad ultrasuoni sembra presagire l'inizio di qualcosa di terribile; l'agente Zero inizia una caccia all'uomo per evitare che il mondo venga distrutto.



L'agente Zero, dopo aver scoperto dell'impeachment del Presidente e dopo aver appreso che sua figlia Sara ГЁ in pericolo, vuole ritirarsi dal servizio e riunire la sua famiglia. Ma il destino ha in serbo dell'altro per lui. Quando la sicurezza del mondo viene minacciata, Zero non puГІ fare altro che tornare sul campo.



Nel frattempo, gli tornano alla memoria nuovi ricordi, e con essi nuovi importanti segreti. L'Agente Zero potrebbe riuscire a salvare il mondo, ma potrebbe non essere in grado di salvarsi da sГ© stesso questa volta.



ASSASSINO ZERO (Book # 7) ГЁ un thriller di spionaggio che ti terrГ  con il fiato sospeso fino a notte fonda. Il libro n. 8 della serie AGENTE ZERO sarГ  presto disponibile.



“Un thriller fantastico”.

–-Midwest Book Review



“Uno dei migliori thriller che ho letto quest'anno”.





Jack Mars

Assassino Zero




ASSASSINO ZERO




(UNO SPY THRILLER DELLA SERIE AGENTE ZERO – LIBRO 7)




J A C KВ В  M A R S



Jack Mars

Jack Mars è l’autore bestseller di USA Today della serie di thriller LUKE STONE, che include sette libri. È anche autore della nuova serie prequel LE ORIGINI DI LUKE STONE, che al momento comprende tre libri, e della serie thriller AGENTE ZERO, che al momento include sette libri.



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I LIBRI DI JACK MARS

SERIE THRILLER DI LUKE STONE

A OGNI COSTO (Libro 1)

IL GIURAMENTO (Libro 2)

SALA OPERATIVA (Libro 3)

CONTRO OGNI NEMICO (Libro 4)

OPERAZIONE PRESIDENTE (Libro 5)

IL NOSTRO SACRO ONORE (Libro 6)

REGNO DIVISO (Libro 7)



SERIE PREQUEL CREAZIONE DI LUKE STONE

OBIETTIVO PRIMARIO (Libro 1)

COMANDO PRIMARIO (Libro 2)

MINACCIA PRIMARIA (Libro 3)



SERIE DI SPIONAGGIO DI AGENTE ZERO

AGENTE ZERO (Libro 1)

OBIETTIVO ZERO (Libro 2)

LA CACCIA DI ZERO (Libro 3)

UNA TRAPPOLA PER ZERO (Libro 4)

DOSSIER ZERO (Libro 5)

IL RITORNO DI ZERO (Libro 6)

ASSASSINO ZERO (Libro 7)



UN RACCONTO DELLA SERIE AGENTE ZERO




PROLOGO


“Non riesco a trovare Sara”.

Questo era ciò che Todd Strickland gli aveva detto al telefono. Non era nemmeno passato un giorno da quando Zero era tornato dal Belgio, dopo aver smascherato la cospirazione del presidente russo per annettere l'Ucraina con l’aiuto del presidente americano, e già ricevette una terribile notizia. Strickland aveva tenuto d'occhio Sara da quando era andata via di casa e si era trasferita in Florida, ma ora sembrava essere svanita nel nulla. Il suo numero di cellulare sembrava disabilitato e non si riusciva a determinare la sua posizione. Perfino i suoi coinquilini avevano affermato che non la vedevano da due giorni.

Mandami il suo indirizzo con un messaggio, gli aveva ordinato Zero. Vado all'aeroporto.

Poco meno di tre ore dopo si trovava fuori dalla casa sgangherata di Jacksonville, in Florida, il posto nel quale Sara abitava da poco più di un anno. Zero salì i gradini di cemento e bussò alla porta con il pugno ripetutamente e senza fermarsi, finché qualcuno alla fine rispose.

“Amico”, gli disse un adolescente biondo e magro con tatuaggi che gli correvano giù per le braccia. “Che diavolo stai facendo?”

“Sara Lawson”, gli disse Zero. “Sai dove potrebbe essere?”

Le sopracciglia del ragazzino si alzarono in un'espressione dubbiosa, ma la sua bocca si piegò in un ghigno. “Perché? Sei l'ennesimo agente che la sta cercando?”

Agente? Un brivido gli percorse la schiena. Se qualcuno che affermava di essere l'FBI si fosse giГ  presentato a quella porta, ciГІ poteva significare che era stata rapita.

“Sono suo padre”. Si fece avanti, spingendo indietro il ragazzo con una spallata mentre entrava in casa.

“Ehi, non puoi fare irruzione qui!” cercò di protestare il ragazzo. “Chiamo la polizia…”

Zero si voltò verso di lui. “Sei Tommy, vero?”

Gli occhi del ragazzo biondo si spalancarono, ma non rispose.

“Ho sentito parlare di te”, gli disse Zero a bassa voce. Strickland gli aveva fornito molte informazioni mentre era in viaggio. “So tutto di te. Non chiamerai la polizia. Non chiamerai il tuo papà avvocato. Ti siederai lì, sul divano, e chiuderai quella dannata bocca. Hai capito?”

Il ragazzo aprì la bocca come se volesse dire qualcosa…

“Ho detto di chiudere la bocca”, scattò Zero.

Il ragazzo magro si ritirГІ sul divano come un cane preso a calci, sedendosi accanto a una ragazza che dimostrava a malapena diciott'anni.

“Sei Camilla?”

La ragazza scosse la testa. “Sono Jo”.

“Io sono Camilla”. Una ragazza latina, mora e troppo truccata, scese le scale in quel momento. “Sono la compagna di stanza di Sara”. Guardò Zero dall'alto in basso. “Sei davvero suo padre?” chiese dubbiosa.

“Sì”.

“E di cosa ti occupi?”

“Che cosa?”

“Che lavoro fai. Sara ci ha detto del tuo lavoro”.

“Non ho tempo per questi interrogatori”, mormorò alzando gli occhi al cielo. “Sono un contabile”, disse poi alla ragazza.

Camilla scosse la testa. “Risposta sbagliata”.

Zero rise, incredulo. Non mi sorprende che Sara abbia detto ai suoi amici la verità su di me. “Cosa vuoi che ti dica? Che sono una spia della CIA?”

Camilla lo guardò interdetta. “Beh… sì”.

“Davvero?” disse il ragazzino biondo sul divano.

Zero alzò le braccia, in preda alla frustrazione. “Per favore. Ditemi quando avete visto Sara per l'ultima volta”.

Camilla guardò i suoi compagni di stanza, poi il suo sguardo si spostò al pavimento. “Va bene”, disse piano. “Qualche giorno fa, stava cercando della roba, e io le ho dato…”

“Roba?” chiese Zero.

“Droga, amico. Continua”, disse il ragazzo biondo.

“Aveva bisogno di qualcosa per calmarsi”, continuò Camilla. “Le ho dato l'indirizzo del mio ragazzo. È andata lì. Poi è tornata. E la mattina dopo è uscita di nuovo. Pensavo andasse al lavoro, ma non è più tornata a casa. Non riesco a raggiungerla al telefono. So solo questo”.

Zero quasi perse la pazienza di fronte a quei ragazzini irresponsabili che avevano mandato una ragazza da sola a casa di uno spacciatore. Ma per lei ingoiГІ tutta la sua rabbia. Doveva trovarla.

Lei ha bisogno di te.

“Questo non è tutto quello che sai”, disse a Camilla. “Voglio il nome e l'indirizzo del tuo ragazzo”.


*

Venti minuti dopo Zero era in piedi davanti a una villetta a schiera di Jacksonville con un cancello sudicio e una lavatrice rotta sulla veranda. Secondo Camilla, questa era la casa dello spacciatore, un tizio di nome Ike.

Zero non aveva una pistola con sГ©. Aveva avuto una tale fretta di arrivare all'aeroporto che era corso fuori dalla porta con nient'altro che le chiavi della macchina e il telefono. Ma ora avrebbe voluto tanto averne una.

Cosa dovrei fare? Mi precipito dentro, lo prendo a calci, pretendo delle risposte? Oppure busso e faccio una chiacchierata?

Decise che, per cominciare, avrebbe optato per la seconda opzione.

Dopo che ebbe bussato tre volte, una voce maschile gridò dall'interno della casa. “Aspetta, sto arrivando!” Il ragazzo che comparve sulla porta era più alto di Zero, più muscoloso di Zero e molto più tatuato di Zero (che non aveva alcun tatuaggio). Indossava una canottiera bianca con quella che sembrava una macchia di caffè e jeans troppo grandi per lui, che pendevano bassi sui fianchi.

“Sei Ike?”

Il ragazzo lo guardò dall'alto in basso. “Sei un poliziotto?”

“No. Sto cercando mia figlia. Sara. Ha sedici anni, è bionda, è alta più o meno così…”

“Amico, non ho mai visto tua figlia”. Ike scosse la testa. Aveva uno strano cipiglio sul viso.

Ma Zero notГІ la lieve, quasi impercettibile contrazione dei suoi occhi. Un tremolio sulle labbra nel tentativo di non lasciar trapelare alcuna emozione. Rabbia. Al nome di Sara, un lampo di rabbia gli aveva attraversato gli occhi.

“Ok. Mi dispiace di averti disturbato”, disse Zero.

“Va bene”, disse il ragazzo in tono inespressivo. Poi fece per chiudere la porta.

Non appena Ike si fu leggermente allontanato, Zero sollevò un piede e diede un forte calcio proprio sotto alla maniglia della porta. Questa si aprì, andando a sbattere forte contro il ragazzo e gettandolo a terra sul tappeto marrone.

Zero lo raggiunse in un secondo e gli bloccò la gola con un avambraccio. “La conosci”, ringhiò. “L'ho visto nei tuoi occhi. Dimmi dove è andata, o io…”

Udì un ringhio e poi un Rottweiler nero e marrone dal collo spesso si gettò verso di lui. Ebbe a malapena il tempo di reagire, e non poté fare a meno di seguire il cane rotolando con lui. Il cane digrignò i denti mordendo l'aria e alla fine trovò il suo braccio e affondò i canini nella sua carne.

Zero strinse forte i denti e continuò a rotolare in modo che l’animale fosse sotto di lui, e lo spinse con il braccio, cercando di reprimere la forza del cane e di liberare il suo avambraccio.

Il ragazzo si alzò in piedi e fuggì dalla stanza mentre Zero cercava intorno a sé qualsiasi cosa potesse afferrare. Il cane si dimenò e si agitò sotto di lui, cercando di liberarsi, ma Zero gli pizzicò le zampe in modo che non riuscisse a rimettersi in posizione di attacco. La sua mano raggiunse una logora coperta appoggiata sul divano di pelle.

Con la mano libera diede un solo colpo al muso del cane, non sufficientemente forte da ferirlo gravemente, ma abbastanza deciso da stordirlo e indurlo a lasciagli il braccio. Nel mezzo secondo prima che le mascelle si serrassero di nuovo, avvolse la coperta intorno alla testa del cane e rilassГІ le gambe in modo da poter rialzarsi.

Quindi passГІ l'estremitГ  della coperta sotto il suo corpo e legГІ le estremitГ  dietro la testa, fino ad avvolgere la parte anteriore del Rottweiler nella coperta. Il cane si agitГІ e si lasciГІ andare, cercando di liberarsi, e a momenti ci sarebbe riuscito. Quindi Zero si alzГІ in piedi e si precipitГІ all'inseguimento dello spacciatore.

ScivolГІ in una minuscola cucina appena in tempo per vedere Ike che stava estraendo una piccola e brutta pistola dal cassetto. CercГІ di puntarla verso di lui, ma Zero fece un balzo in avanti e lo fermГІ, poi con una stretta che slogГІ, o forse spezzГІ, una delle dita del ragazzo, gliela tolse di mano.

Ike strillГІ forte e si rannicchiГІ, tenendosi la mano, mentre Zero gli puntava la pistola alla fronte.

“Non spararmi”, piagnucolò. “Non sparare. Per favore, non sparare”.

“Dimmi quello che voglio sapere. Dov'è Sara? Quando l'hai vista per l'ultima volta?”

“Va bene! Ok. Senti, è venuta da me, ma non poteva pagare, quindi ci siamo accordati, lei mi avrebbe aiutato con delle commissioni in città…”

“Droga”, lo corresse Zero. “Le hai chiesto di consegnare droga. Fai prima a dirlo”.

“Si. Droga. Erano passati solo pochi giorni, e lei stava bene, ma poi le ho dato un grosso lotto di pillole… “

“Di cosa?”

“Pillole da prescrizione. Antidolorifici. Ed è sparita, amico. Non si è mai presentata, non ha mai consegnato. La mia gente era incazzata. Ho perso mille dollari. E ha persino preso una delle mie macchine, perché non ne aveva una sua…”

Zero rise forte. “Le hai dato un migliaio di dollari di droga e lei è scappata?”

“Proprio così”. Alzò lo sguardo su Zero, tenendo le mani in alto, vicino al viso, sulla difensiva. “Se ci pensi, sono io la vittima qui…”

“Sta zitto”. Spinse delicatamente la canna contro la fronte di Ike. “Dove doveva andare, e che tipo di macchina aveva?”


*

Zero si mise alla guida dell'Escalade nera, che aveva “preso in prestito” da Ike insieme alla sua pistola, e usò il GPS del suo telefono per guidare il più velocemente possibile verso il punto di riconsegna, cercando nel frattempo una berlina Chewy azzurra del 2001 a quattro porte.

Non ne vide nessuna prima di raggiungere il punto di consegna, che con suo grande dispiacere non era altro che un centro ricreativo locale. Ma non poteva preoccuparsene al momento. Invece pensГІ tra sГ©: che cosa aveva fatto Sara? Dove era andata?

Prima ancora di porsi la domanda, giГ  aveva la risposta. Insieme a quel pensiero, gli tornГІ alla memoria il profumo del sale.

Non era un segreto nella loro famiglia che Kate, la madre di Maya e Sara, avesse un posto preferito nel mondo. Aveva portato le ragazze lì in tre diverse occasioni; la prima volta, Maya aveva otto anni e Sara sei e aveva detto loro: “Questo è il mio posto preferito”.

Era una spiaggia del New Jersey, e Zero, in un altro contesto, avrebbe trovato quella frase imbarazzante. La spiaggia era troppo rocciosa e l'acqua, tolti i due mesi piГ№ caldi dell'estate, era sempre troppo fredda, ma non era quello che Kate amava. Lei amava il paesaggio. Ci andava ogni anno quando era una bambina, per tutta l'adolescenza, e provava un amore viscerale e incondizionato per quel posto.

La spiaggia. Sapeva che Sara sarebbe andata alla spiaggia.

Cercò sul suo telefono le spiagge più vicine e si diresse lì come un maniaco, tagliando la strada ad altre macchine, ignorando qualsiasi segnaletica e sorprendendosi di tanto in tanto che nessun poliziotto lo fermasse. I parcheggi sulla spiaggia erano piccoli, lunghi e stretti e pieni di macchine e famiglie felici. Ma non vide alcun veicolo che corrispondesse a quello descritto da Ike.

CercГІ in tre delle spiagge piГ№ grandi e vicine alla casa e al lavoro di Sara ma non trovГІ nulla. Stava scendendo rapidamente la sera. Nel frattempo, era stato eletto un nuovo presidente degli Stati Uniti; l'ex presidente della Camera aveva fatto il giuramento proprio quel pomeriggio. Maria era stata invitata alla cerimonia, e molto probabilmente si trovava giГ  a qualche cocktail party, pieno di politici soffocanti e individui facoltosi, sorseggiando champagne e parlando pigramente di un futuro luminoso, mentre Zero cercava sua figlia sulla costa di Jacksonville, proprio quella figlia che, l'ultima volta che si erano visti, aveva chiamato la polizia e gli aveva urlato che non voleva vederlo mai piГ№.

“Dai, Sara”, mormorò mentre accendeva i fari. “Dammi un segno, aiutami a trovarti. Ci deve essere una…”

Si interruppe quando si rese conto del suo errore. Stava cercando tra le spiagge pubbliche. Spiagge famose. Ma la spiaggia di Kate era piccola e poco frequentata. E Sara aveva un carico di droga del valore di mille dollari. Non avrebbe voluto trovarsi nei dintorni di altre persone.

Si avvicinò al lato della strada e consultò nuovamente il telefono. Cercò freneticamente spiagge meno popolari, spiagge rocciose, luoghi in cui la gente non andava spesso. Fu una ricerca difficile, e stava perdendo la speranza, quando pensò di cercare tra le immagini: a quel punto la vide…

Una spiaggia che assomigliava moltissimo alla spiaggia di Kate. Era proprio come la ricordava.

Zero si diresse lì guidando a centotrenta chilometri all'ora, senza preoccuparsi della polizia o degli altri conducenti, schivando le automobili troppo lente, piene di persone che tornavano a casa tranquille senza la preoccupazione che loro figlia potesse essere morta.

Scivolò nel minuscolo parcheggio di ghiaia e, quando la vide, frenò di colpo. Una berlina blu, l'unica macchina nel parcheggio, parcheggiata nel punto più nascosto. Era calata la notte, quindi lasciò i fari accesi e parcheggiò l’Escalade proprio in mezzo al parcheggio, scese dalla macchina e corse verso la berlina.

Aprì la porta sul retro.

Ed eccola lì, era una visione celestiale e infernale al contempo: la sua bambina, la sua figlia più giovane, dalla pelle pallida e luminosa, giaceva prostrata sul sedile posteriore di un'auto con gli occhi vitrei e semiaperti, pillole sparse sul pavimento sotto di lei.

Zero controllГІ immediatamente il suo battito. C'era, seppure fosse molto lento. Quindi inclinГІ la testa all'indietro e si assicurГІ che le sue vie respiratorie fossero libere. Sapeva che la maggior parte dei decessi per overdose erano il risultato del blocco delle vie aeree, che causava a sua volta insufficienza respiratoria e infine arresto cardiaco.

Ma stava respirando, anche se molto debolmente.

“Sara?” disse con voce rotta. “Sara?”

Lei non rispose. La sollevГІ dall'auto e la tenne in posizione verticale. Non riusciva a stare in piedi da sola.

“Mi dispiace”, le disse. E poi le infilò due dita in gola.

Lei vomitò immediatamente, più e più volte, nel parcheggio. Tossì e annaspò mentre lui la teneva e le ripeteva: “Va tutto bene. Andrà tutto bene”.

La mise sull’Escalade, lasciando le porte della berlina aperte e le pillole sui sedili, e guidò per tre chilometri, finché trovò un piccolo negozio di alimentari. Comprò due litri d'acqua con una banconota da venti dollari e si precipitò fuori senza aspettare il resto.

Lì nel parcheggio di una stazione di servizio in Florida, si sedette con lei sul sedile posteriore, con la testa in grembo mentre le accarezzava i capelli, aiutandola a bere e cercando di capire se avrebbe dovuto portarla in ospedale. Le sue pupille erano dilatate, ma le sue vie respiratorie erano aperte e il suo polso stava lentamente tornando alla normalità. Le sue dita si contrassero leggermente, ma quando lui fece scivolare la mano nella sua si chiusero attorno alle sue. Zero trattenne le lacrime, ricordando quando era solo una bambina, quando la teneva in grembo e le sue piccole dita stringevano le sue.

Restando seduto lì con lei, perse la cognizione del tempo. Quando guardò l'orologio, vide che erano trascorse più di due ore.

Poi lei sbatté le palpebre, gemette leggermente e disse: “Papà?”

“Si”. Rispose in un sussurro. “Sono io”.

“È tutto vero?” chiese, con voce persa e sognante.

“È tutto vero”, le disse. “Sono qui e ti porterò a casa. Ti porterò via da qui. Mi prenderò cura di te… anche se mi odi per questo”.

“Ok”, disse lei dolcemente,

A quel punto lui si tranquillizzГІ, rendendosi conto che il pericolo era passato. Sara si addormentГІ e Zero scivolГІ sul sedile anteriore del SUV. Non poteva metterla su un aereo in questo stato, ma poteva tornare indietro in macchina nella notte. Maria si sarebbe sbarazzata del veicolo per lui, senza fare domande. E le autoritГ  locali avrebbero fatto visita a quello spacciatore, Ike.

La guardГІ: era raggomitolata sul sedile posteriore con le ginocchia sollevate e la guancia appoggiata sul sedile di pelle, apparentemente tranquilla, ma vulnerabile.

Lei ha bisogno di te.

E lui aveva bisogno che qualcuno avesse bisogno di lui.



4 SETTIMANE DOPO




CAPITOLO UNO


“Sei pronto?” Chiese Alan Reidigger, con voce bassa mentre impugnava la Glock nera con la sua mano robusta. Lui e Zero davano le spalle a una struttura in legno compensato, nascosta nell'oscurità. Era quasi troppo buio per vedere, ma Zero sapeva che in pochi istanti l'intero posto sarebbe stato illuminato come in pieno giorno.

“Sono sempre pronto”, sussurrò Zero. Teneva una Ruger LC9 nella mano sinistra, una piccola pistola argentata con un caricatore a nove colpi, mentre riscaldava le dita della mano destra. Soffriva ancora della ferita che aveva subito quasi due anni prima, quando un'ancora d'acciaio gli aveva schiacciato la mano mettendola fuori gioco. Dopo tre interventi chirurgici e diversi mesi di terapia fisica, aveva riacquistato gran parte della mobilità, nonostante il danno permanente al nervo. Riusciva sparare con una pistola, ma la sua mira era leggermente spostata verso sinistra, un piccolo inconveniente a cui stava cercando di lavorare.

“Io vado a sinistra”, spiegò Reidigger, “e faccio strada. Tu vai a destra. Tieni gli occhi aperti e controlla ad ampio raggio. Scommetto che ci aspetta qualche sorpresa”.

Zero sorrise. “Oh, ora sei tu la mente dell'operazione?”

“Tu cerca di stare al passo, vecchio”. Reidigger ricambiò il sorriso da dietro la folta barba che oscurava la metà inferiore del suo viso. “Pronto? Andiamo”.

Immediatamente si allontanarono dalla facciata in compensato alle loro spalle e si separarono. Zero sollevò la Ruger, la sua canna seguì il suo campo visivo mentre scivolava dietro l'angolo buio e percorreva uno stretto vicolo.

All'inizio non ci fu che silenzio e oscurità, non si udì alcun suono. Zero dovette ricordare ai suoi muscoli di non contrarsi, di rimanere allentati e di non rallentare la sua velocità di reazione.

Non c'ГЁ niente di nuovo, si disse. L'hai giГ  fatto molte volte.

Poi, le luci esplosero alla sua destra, una serie di lampi abbaglianti. Un forte bagliore, accompagnato dal rumore assordante degli spari. Zero si gettГІ in avanti rotolando e si sollevГІ su un ginocchio. La figura era a malapena piГ№ di una sagoma, ma ciГІ che vedeva fu sufficiente per prendere la mira e sparare.

Non mancò ilcolpo. Si alzò in piedi ma rimase basso, avanzando con cautela. Attenzione. Controlla ad ampio raggio… Si girò di scatto appena in tempo per vedere un'altra figura scura che scivolava dietro di lui, bloccando la strada. Zero si lasciò ricadere all'indietro, atterrando sulla schiena mentre sparava altri due colpi. Udì dei proiettili fischiare proprio sopra la sua testa, che gli sfiorarono i capelli. Entrambi i suoi colpi colpirono la figura, al busto e alla fronte.

Dall'altro lato della struttura arrivarono tre colpi in rapida successione. Poi il silenzio. “Alan”, sibilò nell'auricolare. “Via libera?”

“Aspetta un attimo”, fu la risposta. L'aria venne squarciata da un'esplosione di fuoco, e poi da altri due colpi della Glock. “Via libera. Incontriamoci dietro l’angolo”.

Zero tenne le spalle al muro e avanzГІ rapidamente, mentre il ruvido compensato tratteneva il suo giubbotto. NotГІ un vago movimento in avanti, dal tetto della struttura piatta. Un singolo colpo alla testa eliminГІ immediatamente la minaccia.

Raggiunse l'angolo della struttura e fece una pausa per prendere fiato. Mentre svoltava, puntando la Ruger, si ritrovГІ faccia a faccia con Reidigger.

“Ne ho presi tre”, gli disse Zero.

“Io due”, grugnì Alan. “Il che significa…”

Zero non fece nemmeno in tempo a finire la frase che vide un'altra figura scivolare dietro Alan. SollevГІ la pistola, proprio sopra la spalla di Alan, e sparГІ due volte.

Ma non fu abbastanza veloce. Mentre i colpi di Zero raggiungevano l'obiettivo, Alan gemette e si afferrГІ una gamba.

“Ah, dannazione!” Disse Reidigger. “Di nuovo”.

Zero sussultГІ nel vedere tutte le luci fluorescenti accendersi simultaneamente illuminando l'intero campo di addestramento. Si sentirono dei tacchi sul pavimento di cemento, e un attimo dopo comparve Maria Johansson, le braccia incrociate sul suo blazer bianco e un'espressione accigliata in viso.

“Che ti prende?”. Protestò Reidigger. “Perché ci siamo fermati?”

“Alan”, lo rimproverò Maria, “forse dovresti seguire il tuo stesso consiglio e controllare ad ampio raggio”.

“Cosa? Per questo?” Alan fece un gesto verso la sua coscia, dove una palla di vernice verde aveva macchiato i suoi pantaloni. “Questo non è niente”.

Maria rise. “Quello avrebbe potuto causare un sanguinolento femorale. Saresti potuto morire in meno di novanta secondi”. Poi aggiunse, rivolta a Zero: “Bel lavoro, Kent. Sembri quello di una volta”.

Zero sorrise ad Alan, che furtivamente gli fece il dito medio.

Il magazzino in cui si trovavano era un ex impianto di imballaggio, fino a quando la CIA non lo aveva acquistato e non lo aveva trasformato in un campo di addestramento. Il corso stesso era stato prodotto dall'eccentrico ingegnere dell'agenzia Bixby, che aveva fatto del suo meglio per simulare un raid notturno. La “base” che avevano preso d'assalto era fatta di strutture di compensato squadrato, mentre i lampi erano luci stroboscopiche disposte in tutta la struttura. Gli spari venivano riprodotti digitalmente e trasmessi da altoparlanti ad alta definizione, che echeggiavano nell'enorme spazio e suonavano all'orecchio allenato di Zero quasi come veri e propri colpi. Le figure a forma umana erano poco più che dei manichini in gel balistico e fissati alle piste dei dolly, mentre le pistole a vernice erano automatizzate, programmate per sparare quando i sensori di movimento rilevavano il movimento a varie distanze.

L'unica cosa reale nell'esercizio erano le armi che utilizzavano, motivo per cui sia Zero che Reidigger indossavano giubbotti antiproiettile e la struttura di addestramento era aperta solo agli agenti delle Operazioni Speciali, di cui Zero si era ritrovato a far parte ancora una volta.

Dopo il fiasco in Belgio, in cui i due avevano affrontato il presidente russo Aleksandr Kozlovsky e scoperto il patto segreto che aveva siglato con il presidente degli Stati Uniti Harris, Zero e Reidigger si erano trovati in una situazione spinosa. Erano diventati fuggitivi internazionali, ricercati in quattro paesi per aver infranto piГ№ di una dozzina di leggi. Ma avevano avuto ragione riguardo alla cospirazione, e non sembrava giusto che passassero il resto della loro vita in prigione.

Così Maria fece tutto ciò che poté per i suoi amici ed ex compagni di squadra. Fu a dir poco un miracolo, ma in qualche modo era riuscita a far passare tutte le loro azioni come un'operazione top-secret sotto la sua supervisione.

Il compromesso, ovviamente, fu che avrebbero dovuto tornare a lavorare per la CIA.

Sebbene Zero non lo ammettesse ad alta voce, per lui era come tornare a casa. Aveva lavorato duramente il mese scorso, era tornato in palestra, si era esercitato ogni giorno nel tiro a segno, nel pugilato e nel combattimento a corpo libero con avversari che avevano quasi la metГ  dei suoi anni. Aveva nuovamente perso tutto il peso che aveva guadagnato durante il suo anno e mezzo di fermo. Stava migliorando nella mira con la mano destra infortunata. Maria aveva ragione; sembrava quasi lo Zero di una volta.

Alan Reidigger, invece, non era così entusiasta. Aveva trascorso gli ultimi quattro anni della sua vita facendo credere all'agenzia di essere morto, vivendo sotto lo pseudonimo di un meccanico di nome Mitch. Tornare alla CIA era l'ultima cosa che desiderava, ma per evitare di finire in una buca a H-6, aveva accettato con riluttanza le condizioni di Maria, ma aveva chiesto di essere considerato una risorsa piuttosto che un agente sul campo. Il coinvolgimento di Alan sarebbe avvenuto solo in caso di necessità; avrebbe fornito un supporto quando possibile e avrebbe aiutato a formare gli agenti più giovani.

Ma ciГІ significava che entrambi avrebbero dovuto ritornare in forma per il combattimento.

Reidigger cercò di togliere la vernice verde dai suoi pantaloni, ma non fece altro che spargerla ulteriormente. “Lascia che mi ripulisca, poi ricominciamo”, disse a Maria.

Lei scosse la testa. “Non ho intenzione di passare la mia giornata chiusa in questo posto a guardarti mentre ti fai colpire. Riprenderemo dopo le vacanze”.

Alan borbottò qualcosa, ma annuì in ogni caso. Ai suoi tempi era stato un eccellente agente, e anche adesso si era ancora dimostrato abile sul campo. Era veloce nonostante i chili in eccesso. Ma era sempre stato una specie di magnete per i proiettili. Zero non riusciva a ricordare quante volte Reidigger fosse stato colpito nella sua carriera, ma era certamente un numero a due cifre, soprattutto da quando era stato colpito sulla spalla durante le loro avventure in Belgio.

Un giovane tecnico avanzГІ portando un carrello di attrezzi, mentre una squadra di altre tre persone riorganizzava il corso di addestramento. Zero ripose la Ruger nel carrello. Quindi strappГІ le cinghie di velcro del giubbotto antiproiettile e se lo tolse, sentendosi improvvisamente piГ№ leggero di parecchi chili.

“Quindi, per caso ci hai ripensato?” chiese ad Alan. “In merito alla festa del Ringraziamento. Alle ragazze farebbe piacere vederti”.

“Anche a me piacerebbe rivederle”, rispose, “ma declino l'invito. Le ragazze potranno passare un po' di tempo con te”.

Alan non ci aveva pensato, non ne aveva avuto bisogno. La relazione di Zero con Maya e Sara era stata molto tesa nel corso dell'ultimo anno e mezzo. Ma ora Sara era stata con lui per diverse settimane, da quando l'aveva trovata sulla spiaggia in Florida. Lui e Maya avevano parlato sempre più spesso al telefono: stava per precipitarsi a casa quando aveva sentito cos’era successo a sua sorella minore, ma Zero l'aveva calmata e l'aveva convinta a rimanere a scuola fino alle vacanze. Quella settimana sarebbe stata la prima volta dopo tanto tempo in cui tutti e tre sarebbero stati sotto lo stesso tetto. E Alan aveva ragione; c'era ancora molto lavoro da fare per riparare il danno che li aveva separati per così tanto tempo.

“Inoltre”, disse Alan con un sorriso, “abbiamo tutti le nostre tradizioni. Io andrò a mangiare un intero pollo arrosto e ricostruirò il motore di una Camaro del '72”. Diede un'occhiata a Maria. “Che mi dici di te? Passerai un po' di tempo con il tuo vecchio papà?”

Il padre di Maria, David Barren, era il direttore dei servizi segreti nazionali, essenzialmente l'unico uomo, ad eccezione del presidente, a cui il direttore della CIA Shaw doveva rispondere.

Maria scosse la testa. “Mio padre sarà in Svizzera, in realtà. Fa parte di un gruppo di diplomatici portavoce del presidente”.

Alan si accigliò. “Quindi sarai da sola al Ringraziamento?”

Maria si strinse nelle spalle. “Non è un male. Sono molto indietro con le scartoffie da quando passo tutto questo tempo con voi due idioti. Mi metterò un paio di pantaloni della tuta, mi farò un po' di tè e mi chiuderò…”

“No”, la interruppe Zero con fermezza. “Non se ne parla proprio. Vieni a cena con me e le ragazze”. Lo disse senza pensarci fino in fondo, ma non se ne pentì. Piuttosto, sentiva qualche senso di colpa, poiché l'unica ragione per cui era sola il giorno del Ringraziamento era a causa sua.

Maria sorrise riconoscente, ma i suoi occhi erano titubanti. “Non credo che sia una buona idea”.

Aveva ragione; la loro relazione era finita poco più di un mese prima. Per più di un anno avevano vissuto insieme come… beh, non sapeva come chiamare la loro relazione. Una frequentazione? Non ricordava di essersi mai riferito a lei come la sua ragazza. Sembrava troppo strano. Ma in fondo non aveva importanza, perché Maria aveva ammesso che voleva una famiglia.

Se Zero avesse voluto ricominciare, non avrebbe voluto farlo con nessun’altra se non con Maria. Ma dopo averci pensato per un po', si era reso conto che non era quello che voleva. Aveva del lavoro da fare su sé stesso, doveva riprendere i rapporti con le sue figlie ed esorcizzare i fantasmi del suo passato. E poi quell'interprete, Karina, era entrata nella sua vita, una storia d'amore troppo breve, vertiginosa, pericolosa, meravigliosa e tragica. Il suo cuore era ancora pieno di dolore per la sua morte.

Tuttavia, lui e Maria avevano una relazione storica, non solo romantica ma anche professionale e platonica. Avevano accettato di rimanere amici; nessuno dei due avrebbe mai voluto altrimenti. Eppure, ora era di nuovo un agente, mentre Maria era stata promossa vicedirettore delle operazioni speciali, il che significava che era il suo capo.

Era, per non dire altro, complicato.

Zero scosse la testa. Non doveva essere complicato. Due persone potevano essere amiche, indipendentemente dalla loro storia passata o dal loro rapporto di lavoro.

“È un'ottima idea”, le disse. “Non puoi dirmi di no. Vieni a cena da noi”.

“Beh…” Lo sguardo di Maria passò da Zero a Reidigger e poi di nuovo a Zero. “Va bene allora”, cedette. “Grazie per l'invito. Ora devo proprio andare a lavorare a quei documenti”.

“Ti scrivo”, promise Zero mentre lei lasciava il magazzino, con i tacchi che risuonavano sul pavimento di cemento.

Alan si tolse il giubbotto con un lungo grugnito, quindi rimise il cappello da furgoneista macchiato di sudore sui capelli arruffati prima di chiedere con noncuranza: “È un piano?”

“Un piano?” Zero rise, incredulo. “Per cosa, per far tornare Maria? Sai che non ci penso”.

“No. Intendo un piano per avere Maria come cuscinetto tra te e loro”. Dopo aver trascorso gli ultimi quattro anni della sua vita sotto mentite spoglie, Alan aveva sviluppato un brutale candore che talvolta rasentava l'offesa.

“Certo che no”, disse Zero con fermezza. “Sai che non voglio altro che le cose ritornino come prima. Maria è un'amica. Non un cuscinetto”.

“Sicuro”, disse Alan, anche se sembrava dubbioso. “Forse 'cuscinetto' non era il termine giusto. Forse più un…” Abbassò lo sguardo sul giubbotto antiproiettile che giaceva sul carrello d'acciaio davanti a loro e lo indicò. “Beh, non riesco a pensare a una metafora più adatta”.

“Ti sbagli”, insistette Zero, cercando di mantenere la calma. Non era arrabbiato per il candore di Alan, ma era irritato dalla sua ipotesi. “Maria non merita di essere sola al Ringraziamento, e il rapporto con le ragazze migliora giorno dopo giorno. Va tutto alla grande”.

Alan alzò entrambe le mani in segno di resa. “Va bene, ti credo. Sto solo cercando di capirti, tutto qui”.

“Si. Lo so”. Zero guardò l'orologio. “Devo scappare. Maya arriva oggi. Andiamo in palestra venerdì?”

“Certo. Dì alle ragazze che le saluto”.

“Ma certo. Goditi il tuo pollo e i tuoi motori”. Zero lo salutò e si diresse verso la porta, ma ora la sua testa era piena di dubbi. Alan aveva ragione? Aveva invitato Maria perché aveva paura di stare da solo con le ragazze? E se ritrovarsi tutti insieme avesse ricordato loro perché se ne erano andate? O peggio, se avessero pensato la stessa cosa di Alan, che Maria era lì come una sorta di barriera protettiva tra lui e loro? E se avessero pensato che non stesse provando con tutte le sue forze a riconquistare la loro fiducia?

Va tutto alla grande.

Rendersene conto non lo tranquillizzava, ma la sua capacitГ  di mentire in modo convincente era piГ№ acuta che mai.




CAPITOLO DUE


Maya salì le scale fino a raggiungere l'appartamento al secondo piano in cui suo padre viveva in affitto. Si trovava in un edificio di recente costruzione fuori dal centro di Bethesda, in un quartiere residenziale costituito esclusivamente da appartamenti, villette a schiera e centri commerciali. Il tipo di posto in cui mai si sarebbe aspettata che suo padre avrebbe vissuto, ma immaginò che avesse avuto fretta di trovare qualcosa di disponibile quando aveva interrotto la relazione con Maria.

Probabilmente aveva voluto trasferirsi prima di cambiare idea, pensГІ.

Per un attimo rimpianse la loro casa ad Alessandria, la casa che lei, Sara e suo padre avevano condiviso prima che si scatenasse l'inferno nella loro famiglia. Rimpianse i tempi in cui credevano fosse un professore associato di storia, prima di scoprire che in realtГ  era un agente della CIA. Prima che venissero rapite da un assassino psicopatico che le aveva vendute a dei trafficanti di esseri umani. Rimpianse i tempi in cui credevano che la madre fosse morta per un infarto improvviso mentre raggiungeva la sua auto dopo un giorno di lavoro, prima di scoprire che era stata assassinata per mano di un uomo che aveva salvato loro la vita in piГ№ di un'occasione.

Maya scosse la testa e si scostГІ la frangia dalla fronte come se stesse cercando di allontanare i pensieri. Era tempo di ricominciare da capo. O almeno di provarci per davvero.

Trovò la porta dell'appartamento di suo padre, ma si rese conto che non aveva una chiave e che probabilmente avrebbe dovuto chiamare prima per assicurarsi che fosse a casa. Ciò nonostante bussò, il catenaccio si fece da parte e la porta si aprì, e Maya si ritrovò a fissare sbalordita per diversi secondi quella che per poco non le sembrò un'estranea.

Non vedeva Sara da piГ№ di quanto desiderasse ammettere, ed era evidente dal viso di sua sorella. Sara stava rapidamente diventando una giovane donna, i suoi lineamenti si stavano definendo, o meglio, si stavano avvicinando sempre di piГ№ ai lineamenti di Katherine Lawson, loro madre.

SarГ  piГ№ difficile di quanto pensassi. Mentre Maya assomigliava molto di piГ№ a loro padre, Sara da sempre ricordava la mamma in tutto, non solo nell'aspetto, ma anche nella personalitГ  e negli interessi. La carnagione di sua sorella era piГ№ pallida di quanto Maya ricordasse, forse per effetto della disintossicazione, pensГІ. I suoi occhi sembravano in qualche modo piГ№ opachi e aveva evidenti occhiaie scure che Sara aveva tentato di nascondere con il trucco. Si era tinta i capelli di rosso, almeno due mesi prima, e dalla ricrescita iniziava a far capolino il suo biondo naturale. Li aveva anche tagliati di recente all'altezza del mento, e quel taglio le incorniciava il viso in modo grazioso ma la faceva sembrare piГ№ grande di un paio d'anni. In effetti, lei e Maya sembravano avere la stessa etГ  ora.

“Ehi”, disse Sara semplicemente.

“Ciao”. Maya si riprese dalla sorpresa nel vedere sua sorella così diversa e sorrise. Lasciò cadere il borsone verde e fece un passo in avanti per abbracciarla; Sara la abbracciò a sua volta con gratitudine, quasi come se stesse aspettando di vedere come sarebbe stata accolta da sua sorella. “Mi sei mancata. Volevo tornare a casa subito quando papà mi ha raccontato quello che è successo…”

“Sono contenta che tu non l'abbia fatto”, disse candidamente Sara. “Mi sarei sentita orribile se avessi lasciato la scuola per me. Inoltre, non volevo che mi vedessi… così”.

Sara scivolò fuori dalle braccia di sua sorella e afferrò il borsone prima che Maya potesse protestare. “Entra”, le disse con un cenno. “Benvenuta a casa”.

Benvenuta a casa. Maya la seguì nell’appartamento. Era un posto abbastanza carino, moderno, con molta luce naturale ma piuttosto austero. Se non fosse stato per alcuni piatti nel lavandino e il ronzio della televisione nel soggiorno a basso volume, Maya non avrebbe creduto che qualcuno vivesse in quella casa. Non c'erano quadri alle pareti, nessun tipo di decorazione che desse personalità alla casa.

Sembrava una tela bianca. Tra sГ© e sГ©, riconobbe che quello era lo scenario piГ№ appropriato per la loro situazione.

“È tutto qui”, disse Sara, come se stesse leggendo la mente di Maya. “Almeno per ora. Ci sono solo due camere da letto, quindi dovremo condividere la stanza…”

“Posso dormire sul divano”, propose Maya.

Sara sorrise appena. “Mi fa piacere condividere la stanza. Un po' come quando eravamo piccole. Sarebbe… bello. Averti vicina”. Si schiarì la voce. Nonostante la frequenza con cui avevano parlato al telefono, era dolorosamente evidente quanto fosse strano ritrovarsi nella stessa camera.

“Dov'è papà?” Chiese Maya all'improvviso, cercando di allentare la tensione.

“Dovrebbe tornare a casa a momenti. Ha dovuto fermarsi dopo il lavoro a prendere alcune cose per domani”.

Dopo il lavoro. Sara lo disse con una tale noncuranza che sembrava che stesse tornando da un ufficio e non dal quartier generale della CIA a Langley.

Sara si appollaiò su uno sgabello vicino al bancone che separava la cucina dalla piccola sala da pranzo. “Come va la scuola?”

Maya si appoggiò al tavolo con entrambi i gomiti. “La scuola è…” Esitò. Sebbene avesse solo diciotto anni, era al suo secondo anno a West Point a New York. Aveva sostenuto in anticipo l'esame per il diploma di liceo ed era stata accettata dall'accademia militare grazie a una lettera di raccomandazione dell'ex presidente Eli Pierson, il cui tentativo di assassinio era stato contrastato proprio dall'agente Zero. Ora era la migliore della sua classe, forse tra i migliori dell'intera accademia. Ma un recente litigio con il suo ex fidanzato Greg Calloway si era evoluto in diversi episodi di bullismo. Maya si era rifiutata di arrendersi, ma doveva ammettere che quegli episodi le avevano reso la vita piuttosto difficile. Greg aveva molti amici, tutti ragazzi più grandi dell'Accademia che Maya aveva già dovuto affrontare più di una volta.

“La scuola è fantastica”, disse infine, forzando un sorriso. Sara aveva già molti problemi, non voleva darle altri pensieri. “Ma un po' noiosa. Dimmi piuttosto come stai tu”.

Sara quasi sbuffò, e poi indicò l'appartamento. “Lo vedi. Sono qui tutto il giorno, tutti i giorni. Guardo la TV. Non vado da nessuna parte. Non ho soldi. Papà mi ha procurato un telefono al lavoro in modo che possa tenere d'occhio le mie chiamate e i miei messaggi”. Poi alzò le spalle, e aggiunse “È come una di quelle prigioni per colletti bianchi in cui mandano politici e celebrità”.

Maya sorrise tristemente alla battuta, e poi con cautela chiese: “Ma tu sei…pulita?”

Sara annuì. “Per quanto possibile”.

Maya si accigliò. Sapeva molto di molte cose, ma non conosceva nulla in merito alle droghe. “Che significa?”

Sara fissò il bancone di granito, tracciando un piccolo cerchio sulla superficie liscia con un dito. “Significa che è difficile”, ammise lei piano. “Pensavo che sarebbe stato più facile dopo i primi giorni, dopo che tutto quello schifo fosse uscito dal mio corpo. Ma non lo è stato. È come… è come se il mio cervello si ricordasse di quella sensazione e la desiderasse ancora. La noia non mi aiuta. Papà non vuole che io abbia ancora un lavoro, perché non vuole che io abbia altri soldi a disposizione finché non starò meglio. Poi sorrise, e aggiunse: “Vuole che studi per prendere il diploma”.

E ha ragione, stava per dire Maya, ma si trattenne. Sara aveva abbandonato la scuola superiore dopo aver raggiunto l’età dell’obbligo, ma l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era un rimprovero, specialmente in quel momento in cui si stava aprendo con lei.

Ma una cosa era chiara: il problema di Sara era peggiore di quanto Maya pensasse. Pensava che sua sorella minore avesse solamente provato qualche droga e che l'overdose fosse stata un incidente. Tuttavia, era proprio il contrario. Sara era dipendente. E non c'era niente che Maya potesse fare per aiutarla. Non sapeva nulla della dipendenza.

O forse sì?

Improvvisamente ricordò una notte, circa due settimane prima, quando aveva svegliato il suo compagno di dormitorio ritornando dalla palestra all'una del mattino. Il cadetto, irritato e mezzo addormentato aveva borbottato qualcosa riguardo al fatto che fosse “drogata di allenamenti”. E poi Maya era rimasta sveglia per un'altra ora a studiare, per poi svegliarsi il giorno dopo alle sei per andare a correre.

PiГ№ ci pensava, piГ№ si rendeva conto di sapere tutto sulla dipendenza. Non era dipendente dal dimostrare di essere la migliore? Non era sempre impegnata a inseguire il successo?

E suo padre, anche dopo tutto il tumulto degli ultimi due anni, era comunque tornato al lavoro. Sara bramava ancora la droga come Maya bramava la realizzazione personale e il suo papГ  bramava il brivido dell'inseguimento, perchГ© forse non erano altro che una famiglia di tossicodipendenti.

Ma Sara era l'unica a riconoscerlo. Forse ГЁ la piГ№ intelligente di tutti noi.

“Ehi”. Maya allungò la mano prese quella di Sara. “Puoi farcela. Sei più forte di quanto pensi. Ho fiducia in te”.

Sara fece un mezzo sorriso. “Sono contenta che qualcuno abbia fiducia in me”.

“Parlerò con papà”, disse Maya. “Magari si rilasserà un po', ti darà un po' più di libertà…”

“No”, la interruppe Sara. “Il problema non è papà. Lui è fantastico con me; probabilmente meglio di quanto mi meriti”. Il suo sguardo cercò il pavimento. “Il problema sono io. Perché so benissimo che se avessi un centinaio di dollari in tasca e potessi andare dove voglio, dovrebbe venire a cercarmi di nuovo. E la prossima volta potrebbe non arrivare abbastanza velocemente”.

Il cuore di Maya si spezzГІ per l'ovvio tormento riflesso negli occhi di sua sorella, e poi di nuovo alla consapevolezza che non c'era nulla che potesse fare per aiutarla. Tutto ciГІ che aveva erano parole vuote di incoraggiamento, che non l'avrebbero aiutata a risolvere i suoi problemi.

All'improvviso si sentì incredibilmente fuori posto in quella cucina. Avevano vissuto così tante situazioni insieme. Crescendo. Avevano pianto la morte di loro madre. Avevano scoperto il lavoro di loro padre. Avevano fatto delle vacanze in famiglia ed erano fuggite da aspiranti assassini. Tutto ciò che si pensasse potesse avvicinare due persone e creare un legame indissolubile, aveva invece creato un vuoto silenzio tra di loro.

Sarebbe stato sempre così d'ora in avanti? La ragazza davanti a lei avrebbe continuato a diventare sempre più irriconoscibile fino a quando non si sarebbero trovate ad essere semplici estranee con un legame di parentela?

Maya voleva dire qualcosa, qualsiasi cosa, per rompere quel silenzio. Far rivivere qualche ricordo felice. O chiamala topolina, quel nomignolo della loro infanzia che non usava da chissГ  quanto tempo.

Prima che potesse dire qualcosa, la porta si aprì alle loro spalle. Maya si girò di scatto, stringendo istintivamente i pugni. I suoi nervi saltavano quando si verificavano intrusioni inaspettate.

Ma questa volta non era un intruso. Era suo padre, che trasportava due sacchetti della spesa e avanzava cautamente verso la cucina alla vista di lei.

“Ciao”.

“Ciao, papà”.

Posò le borse della spesa sul pavimento e fece un passo verso di lei, aprendo le braccia, ma poi esitò. “Posso…?”

Lei annuì e lui l'abbracciò. All'inizio fu un abbraccio esitante, ma poi Maya notò, stupita, che aveva lo stesso odore di sempre. Era un profumo straordinariamente nostalgico, un profumo della sua infanzia, un profumo che le ricordava mille altri abbracci. Forse lei era più grande, forse Sara sembrava diversa; forse non era ancora del tutto sicura di chi fosse suo padre e forse si trovavano in un posto nuovo che avrebbero dovuto imparare a chiamare casa, ma in quel momento nulla di tutto ciò sembrava avere importanza. In quel momento si sentì a casa e si abbandonò a lui, stringendolo forte.


*

Maya aprì la porta scorrevole in vetro sul retro dell’appartamento, indossò una felpa con cappuccio e sfidò l'aria fredda della notte. La casa non aveva un cortile, ma aveva un piccolo patio con un tavolo tozzo e due sedie.

Suo padre era seduto lì, sorseggiava da un bicchiere una bevanda di colore ambrato. Maya si sedette con lui, notando quanto fosse chiara la notte.

“Sara dorme?” chiese.

Maya annuì. “Sonnecchia sul divano”.

“Lo fa spesso recentemente”, disse, con espressione preoccupata. “Dorme molto”.

Lei forzò una leggera risata. “Ha sempre dormito molto. Non mi preoccuperei per questo”. Poi indicò il bicchiere con un cenno. “Birra?”

“Tè freddo”. Sorrise lui imbarazzato. “Da quando sono tornato al lavoro non bevo”.

“E come va?”

“Non male”, ammise. “Ultimamente non ho svolto nessun incarico sul campo, mi prendo cura di Sara e mi rimetto in forma”.

“Stavo per dirlo, si vede che hai perso peso. Stai molto meglio di… “

Dell'ultima volta in cui ti ho visto, stava per dire Maya, ma si interruppe, perché non voleva rievocare il ricordo di quella visita, quando aveva portato Greg a casa, si era arrabbiata, aveva perso il controllo, aveva abbandonato Greg lì e aveva detto a suo padre che non avrebbe mai più voluto vederlo.

“Grazie”, disse lui in fretta, chiaramente pensando lo stesso. “E la scuola sta andando bene?”

Gliel'aveva già detto così prima, a cena, ma sembrava che non le credesse del tutto, e Maya ricordò a sé stessa che parte del suo lavoro era la capacità di capire le persone. Era inutile mentirgli, ma ciò non significava che lei dovesse dirgli tutto.

“Preferisco non parlare della scuola”, gli disse chiaramente. Non voleva parlare di come talvolta sparissero degli oggetti dal suo armadietto. O del fatto che i ragazzi le gridassero parole poco gentili. O della sensazione che fosse soltanto l'inizio del tormento, e che più cercava di ignorarli, più i ragazzi di West Point sarebbero stati aggressivi.

“Giusto”. Suo padre si schiarì la gola. “Uhm, c'è qualcosa di cui vorrei parlare però. Avrei dovuto chiedertelo prima. Maria non ha un posto in cui andare domani, e non mi sembrava giusto…”

“Non preoccuparti, papà”. Maya sorrise al suo imbarazzante tentativo di chiederle il permesso. “Certo che non mi dispiace, e non devi chiedermi il permesso”.

Lui fece spallucce. “Si, hai ragione. È solo che sei così grande ora. Entrambe siete cresciute così tanto. Mi sono perso alcune parti importanti della vostra vita”.

Maya annuì leggermente, sebbene non sentisse il bisogno di aggiungere altro. Poi cambiò argomento. “È bello ciò che stai facendo per Sara. La stai aiutando. Sembra che ne abbia davvero bisogno”.

Questa volta fu suo padre ad annuire leggermente, fissando il vuoto. “Farei tutto il possibile per lei”, disse malinconicamente. “Ma temo che potrebbe non essere abbastanza”.

“Che intendi dire?”

Zero bevve un sorso di tè freddo prima di spiegare. “La scorsa settimana siamo andati a cena, solo noi due, in un ristorante in centro. È stato bello. Abbiamo parlato. Sembrava tutto a posto. Quando è arrivato il conto, ho pagato con una banconota da cento dollari. E lì qualcosa è scattato; come un'ombra le ha attraversato gli occhi. L'ho vista guardare i soldi, poi la porta e …”

Suo padre tacque, ma Maya non aveva bisogno che spiegasse ulteriormente. Ora capiva le parole di Sara; aveva davvero pensato di prendere i soldi e scappare. Non sarebbe andata lontano con solo un centinaio di dollari, ma probabilmente stava pensando a brevissimo termine. Voleva farsi una dose il prima possibile.

“Sicuramente te ne sei accorta”, continuò suo padre, “l'appartamento è un po' spoglio. Non l'ho decorato con molte cose, perché…”

PerchГ© temi che potrebbe rubarle. Impegnarle. Scappare di nuovo. La CIA non lo aveva mandato da nessuna parte nel tempo in cui Sara aveva vissuto con lui, ma prima o poi lo avrebbe fatto, e a quel punto cosa sarebbe successo? Sara sarebbe rimasta semplicemente seduta ad aspettare il suo ritorno? O avrebbe cercato di fuggire, abbandonata a sГ© stessa e ai demoni del suo passato?

“È molto peggio di quanto pensassi”, mormorò Maya. Quindi, risolutamente e senza pensarci due volte, aggiunse: “Rimarrò qui”.

“Che cosa?”

Lei annuì. “Rimango qui. Mancano solo tre settimane alle vacanze di Natale. Posso recuperare il lavoro. Starò qui durante le vacanze, tornerò a New York dopo Capodanno”.

“No”, le disse Zero con fermezza. “Assolutamente no…”

“Ha bisogno di aiuto. Ha bisogno di supporto”. Maya non era sicura di quale tipo di aiuto o supporto potesse offrire a sua sorella, ma avrebbe avuto il tempo di capirlo. “Non preoccuparti. Me ne occupo io”.

“Non è compito tuo”. Suo padre si chinò e cercò la sua mano. Lei quasi sussultò, ma poi le sue dita si chiusero attorno alle sue. “Apprezzo l'offerta. Sono sicuro che anche Sara lo farebbe.

Ma hai degli obiettivi. Hai un sogno nel cassetto. Hai lavorato duramente per raggiungerlo e devi continuare a perseguirlo”.

Maya sbattГ© le palpebre, un po' sorpresa. Suo padre non aveva mai mostrato di sostenere il suo desiderio di entrare a far parte della CIA e di diventare l'agente piГ№ giovane della storia. In effetti, aveva spesso tentato di dissuaderla, ma lei era irremovibile.

Lui sorrise, sembrando cogliere la sua sorpresa. “Non fraintendermi. Non mi piace comunque. Ma ora sei grande; è la tua vita. È giusto che sia tu a scegliere”.

Lei ricambiГІ il sorriso. Era cambiato. E forse dopo tutto c'era la possibilitГ  di tornare a quello che erano una volta. Ma prima bisognava aiutare Sara.

“Penso”, disse piano, “che Sara potrebbe aver bisogno di più aiuto rispetto a quello che possiamo darle. Penso che potrebbe aver bisogno di un aiuto professionale”.

Suo padre annuì come se lo sapesse già, come se avesse già pensato la stessa cosa ma sentisse il bisogno di sentirselo dire da qualcun altro. Lei gli strinse delicatamente la mano per rassicurarlo, e poi rimasero in silenzio. Nessuno dei due sapeva cosa sarebbe successo, ma per il momento tutto ciò che contava era che fossero a casa.




CAPITOLO TRE


Chiunque abbia definito New York “la città che non dorme mai” non è mai stato nella vecchia Avana, rifletté Alvaro mentre si dirigeva verso il porto e il Malecón. Alla luce del giorno, l’Avana vecchia era una bellissima parte della città, una ricca miscela di storia e arte, gastronomia e cultura, ma le strade erano piene di traffico e dei rumori dei cantieri per i vari progetti di restauro volti a riportare i quartieri storici all'antico splendore.

Ma di notte… era di notte che la città mostrava i suoi veri colori. Le luci, i profumi, la musica, le risate: e il Malecón era il posto migliore. Le strette stradine che circondavano Calle 23, dove abitava Alvaro, erano abbastanza vivaci, ma la maggior parte dei bar cubani chiudevano a mezzanotte. Tuttavia, vicino al porto i locali notturni rimanevano aperti, il volume della musica era sempre più alto e l'alcol scorreva copioso in molti bar e locali.

Il MalecГіn era un'ampia strada che si estendeva per otto chilometri lungo i confini dell'Avana, fiancheggiata da strutture dipinte di verde e rosa corallo. Molti dei locali tendevano a snobbarla a causa dei numerosi turisti, ma questa era una delle molte ragioni per cui Alvaro ne era attratto; nonostante i sempre piГ№ numerosi (e irritanti) locali in stile europeo, c'era ancora una manciata di posti in cui un ritmo di salsa resisteva alla musica elettronica proveniente dagli edifici vicini.

Tra la popolazione locale vigeva un detto secondo cui Cuba fosse l'unico posto al mondo in cui bisognasse pagare i musicisti per non suonare, e questo era certamente vero durante il giorno. Sembrava che ogni persona che possedesse una chitarra o una tromba o un set di bonghi avesse aperto un negozio all'angolo di una strada, e in ogni isolato la musica accompagnava il rombo delle macchine edili e il suono dei clacson delle macchine. Ma la notte era una storia diversa, specialmente sul MalecГіn; la musica dal vivo andava diminuendo, stava perdendo la battaglia contro la musica elettronica, o peggio, stava soccombendo a qualunque hit pop importata dagli Stati Uniti.

Eppure, Alvaro non si preoccupava di nulla di tutto ciò, purché ci fosse La Piedra. Si trattava di uno dei pochi veri bar cubani rimasti sul lungomare: le sue porte erano ancora aperte – letteralmente, bloccate da fermaporta in modo che la musica vivace della salsa arrivasse alle orecchie del visitatore ancora prima di entrare. Non c'era coda per entrare a La Piedra, a differenza delle moltissime discoteche europee. Non c'era una folla brulicante che cercava di richiamare l'attenzione dei baristi accalcandosi ai banconi. L'illuminazione non era debole o stroboscopica ma intensa, proprio per accentuare appieno l'arredamento vibrante e colorato. Una band di sei elementi suonava su un palco che difficilmente poteva essere chiamato tale, costituito da una piattaforma leggermente rialzata nell'angolo più lontano del bar.

Alvaro era in perfetta sintonia con La Piedra, con la sua camicia di seta decorata con un motivo bianco e giallo di Mariposa, il fiore nazionale di Cuba. Era alto e scuro, giovane e ben rasato, piuttosto bello. Qui, nel piccolo club di salsa di MalecГіn, non era solo un cuoco con le unghie sporche di grasso e lievi ustioni alle mani. Era un misterioso ed eccitante sconosciuto. Una storia allettante da raccontare a casa o un segreto da mantenere.

Si avvicinГІ al bar e indossГІ quello che sperava fosse un sorriso seducente. Al bancone c'era Luisa, come quasi tutte le sere. La loro routine era diventata una specie di danza in sГ©, uno scambio abituale e sempre uguale.

“Alvaro”, disse lei in tono indifferente, a malapena in grado di reprimere un sorriso. “Ecco la nostra trappola per turisti”.

“Luisa”, rispose lui languido. “Sei meravigliosa”. Effettivamente, Luisa era bellissima. Quella sera indossava una luminosa gonna lunga con uno spacco vertiginoso che accentuava le curve dei fianchi, con un top corto bianco appena appoggiato su un perfetto ombelico con un piercing a forma di rosa. I suoi capelli scuri ricadevano sulle spalle in morbide onde, incorniciando i suoi orecchini d'oro. Alvaro sospettava che metà degli avventori di La Piedra venisse solo per vederla; se non altro, per lui era così.

“Stai attento. Non vorrai sprecare le tue migliori battute con me”, scherzò.

“Tutte le mie frasi migliori sono dedicate a te”. Alvaro si appoggiò con i gomiti sul bancone di legno. “Lascia che ti porti a cena. Meglio ancora, lascia che io cucini per te. Il cibo è un linguaggio d'amore, lo sai”.

Lei sorrise. “Richiedimelo la prossima settimana”.

“Lo farò”, promise. “E nel frattempo, posso avere un mojito, per favore?”

Luisa si girГІ per preparare il suo drink, e Alvaro intravide la farfalla tatuata sulla spalla sinistra. Questi erano i loro passi di danza, i passi della loro salsa: un complimento, una proposta, un rifiuto, un drink. E altro ancora.

Alvaro distolse lo sguardo da lei e si guardГІ attorno al bar, ondeggiando dolcemente al suono della musica vivace. Gli avventori erano un piacevole mix di gente del posto e turisti amanti della musica, per lo piГ№ americani, alcuni europei e occasionalmente qualche gruppo di asiatici, tutti alla ricerca dell'autentica esperienza cubana e, con un po' di fortuna, lui sarebbe diventato parte dell'esperienza di qualcuna di loro.

In fondo al bar scorse dei capelli rosso fuoco, una pelle di porcellana, un bel sorriso. Appartenevano a una giovane donna, probabilmente degli Stati Uniti, sulla ventina. Era lì con due amici, seduti di fianco a lei su due sgabelli da bar. Uno di loro disse qualcosa che la fece ridere; inclinò la testa all'indietro e sorrise ancora di più, mostrando i suoi denti perfetti.

Gli amici potrebbero essere un problema. La donna dai capelli rossi non indossava alcun anello e sembrava si fosse vestita appositamente per attirare l'attenzione, ma sarebbero stati gli amici a decidere per lei.

“È carina”, disse Luisa mentre posava il mojito davanti a sé. Alvaro scosse la testa; non si era reso conto che la stava fissando.

Si strinse nelle spalle, cercando di scherzarci su. “Non è bella come te”.

Luisa rise di nuovo, questa volta di lui, mentre alzava gli occhi al cielo. “Sei tanto sciocco quanto dolce. Vai da lei”.

Alvaro prese il suo drink, mentre il suo cuore si spezzava ogni volta che Luisa respingeva le sue avance, sperando di trovare conforto in quella turista americana dai capelli rossi. I suoi metodi erano ben esercitati, sebbene non del tutto infallibili. Ma quella sera Alvaro si sentiva fortunato.

Si aggirГІ lungo il bancone, oltrepassando la ragazza e i suoi due amici senza rivolgere loro uno sguardo. Si sedette a un tavolo alto nella sua visuale e si appoggiГІ ad esso con i gomiti, battendo il tempo con la musica, aspettando il momento giusto. Poi, dopo un minuto, si guardГІ alle spalle con scioltezza.

La ragazza dai capelli rossi lo guardГІ a sua volta e i loro occhi si incontrarono. Alvaro distolse lo sguardo, sorridendo timidamente. AspettГІ di nuovo, contando mentalmente fino a trenta prima di guardarla di nuovo. Lei distolse rapidamente lo sguardo. Lo stava guardando. Non aveva bisogno di altro.

Quando la canzone finì e il bar scoppiò in un applauso per la band, Alvaro raccolse il suo mojito e si avvicinò alla ragazza, non troppo in fretta, con le spalle dritte, la testa alta e sicuro di sé. Le sorrise e lei ricambiò il sorriso.

“Hola. ¿Bailar conmigo?”

La ragazza sbatté le palpebre confusa. “Scusami”, balbettò dolcemente. “Non parlo spagnolo…”

“Dance with me”. L'inglese di Alvaro era impeccabile, ma esagerò il suo accento per sembrare più esotico.

La ragazza arrossì, e le sue guance diventarono quasi dello stesso colore dei suoi capelli. “Io… non sono capace”.

“Ti insegno io. È facile”.

La ragazza sorrise nervosamente e, come Alvaro aveva previsto, guardò le sue amiche. Una di loro scrollò le spalle. L'altra annuì con entusiasmo e Alvaro dovette sforzarsi di non sorridere con troppo entusiasmo.

“Umm… va bene”.

Lui tese una mano e lei la prese, le sue dita calde in quelle di lui mentre la conduceva sulla pista da ballo, un'ampia area all'interno del bar in cui i tavoli erano stati allontanati per far spazio agli avventori giunti lì per la musica.

“Per ballare la salsa non serve conoscere i passi correttamente”, le disse. “È sufficiente seguire la musica. Così”. Quando la band iniziò la canzone successiva, Alvaro fece un passo avanti con il ritmo, dondolandosi sul piede posteriore e tornando subito indietro. I suoi gomiti ondeggiavano vagamente ai suoi lati, una mano ancora nella sua, muovendo i fianchi a ritmo con i suoi passi. Non era di certo un esperto, ma era dotato di un naturale senso del ritmo che faceva sembrare impressionanti anche i passi più semplici.

“Così?” La ragazza imitò rigidamente i suoi passi.

Lui sorrise. “Sì. Ma più sciolta. Fai come me. Uno, due, tre, pausa. Cinque, sei, sette, pausa”.

La ragazza rise nervosamente cercando di apprendere i passi, sciogliendosi progressivamente man mano che diventava più sicura. Alvaro temporeggiò, aspettando che la canzone finisse e che ne iniziasse un'altra prima di posarle delicatamente una mano sul fianco, mentre entrambi ballavano, dicendole: “Sei molto bella. Come ti chiami?”

La ragazza arrossì di nuovo. “Megan”.

“Megan”, ripeté. “Io sono Alvaro”.

La ragazza, Megan, sembrava sempre più a suo agio, cedendo progressivamente al fascino di uno sconosciuto bello e misterioso in quella terra esotica. Tutto stava andando secondo i suoi piani. Lei osò avvicinarsi, chiudendo gli occhi, seguendo la musica come lui le aveva detto, mentre i suoi fianchi ondeggiavano seguendo i passi di salsa, non erano così belli e formosi come i fianchi di Luisa, notò, ma erano comunque attraenti. Alvaro sapeva per esperienza di non muoversi troppo velocemente, di lasciare che la musica e la sua immaginazione prendessero il sopravvento, e poi…

Si accigliГІ per la sensazione che lo attraversava. Era insolito che la musica elettronica suonata nella discoteca vicino si sentisse attraverso i muri, ma avrebbe potuto giurare di averla udita.

Non l’ho sentita, realizzò, l’ho percepita. Sentì uno strano brontolio nel corpo, difficile da identificare e ancora più difficile da descrivere, al punto che sul momento la imputò ai bassi emessi dalle casse troppo potenti del club della porta accanto. La sua compagna dai capelli rossi aprì gli occhi e il suo viso assunse un'espressione preoccupata. L'aveva sentito anche lei.

Improvvisamente l'intero club cambiò, o sembrò che lo facesse, quando un'ondata di vertigini si abbatté su Alvaro. Inciampò da un lato, riprendendo l'equilibrio solo un secondo prima di cadere. La ragazza americana non fu così fortunata e cadde. A uno a uno i musicisti della band smisero di suonare, e Alvaro poté sentire le grida spaventate degli avventori di La Piedra, accompagnate dal debole battito del basso dalla porta accanto.

Qualunque cosa fosse, l'avevano sentita tutti.

Improvvisamente si sentì assalito da un forte mal di testa e da una sensazione di nausea. Alvaro guardò bruscamente alla sua sinistra in tempo per vedere Luisa cadere dietro il bancone.

Luisa!

Riuscì a fare due passi prima che le vertigini si facessero sentire nuovamente, facendolo inciampare contro un tavolo. Mentre si ribaltava, del vetro si schiantò sul pavimento. Una donna urlò, ma Alvaro non riuscì a determinare dove si trovasse.

Cadde in ginocchio e strisciò, determinato a trovare Luisa. Doveva portarle fuori di lì, a costo di trascinarle entrambe per tutto il locale. Ma quando poi alzò lo sguardo, tutto ciò che riuscì a vedere furono sagome sfocate. La sua vista si offuscò. I suoni nel locale in preda al panico svanirono, sostituiti da un solo rumore acuto. I colori vibranti di La Piedra si attenuarono, gli angoli più nascosti diventarono marroni e poi neri, e Alvaro si lasciò cadere sul pavimento, stordito e incapace di sentire altro che quel rumore prima di perdere conoscenza.




CAPITOLO QUATTRO


Jonathan Rutledge non voleva alzarsi dal letto.

Per essere onesti, era un letto fantastico. Era un letto regale, sebbene, riflettГ© in quelle prime ore del mattino, forse sarebbe stato piГ№ appropriato chiamarlo presidenziale.

Si girГІ sbadigliando e istintivamente allungГІ la mano verso lo spazio vuoto accanto a lui. Strano, pensГІ, come rimanesse sempre dalla sua parte del letto anche quando Deidre era fuori cittГ . Rimase sbalordito dalla rapiditГ  con cui aveva preso la sua nuova posizione; al momento stava viaggiando nel Midwest, facendo contatti per finanziare programmi di arte e musica nelle scuole pubbliche, mentre lui spingeva ulteriormente la sua faccia in un cuscino come se potesse soffocare il suono che sapeva sarebbe arrivato da un momento all'altro.

E mentre faceva ciГІ, il telefono vicino a lui suonГІ di nuovo.

“No”, si disse. Era il giorno del ringraziamento. Le uniche cose sul suo programma erano graziare un tacchino, fare alcune foto con le sue figlie e poi godersi un buon pasto privato con loro. Perché lo stavano disturbando all'alba di un giorno di vacanza?

Un forte bussare alla porta lo fece sussultare. Rutledge si alzò a sedere, si stropicciò gli occhi e disse ad alta voce: “Sì?”

“Signor presidente”. Una voce femminile lo chiamò attraverso la spessa porta della suite padronale della Casa Bianca. “Sono Tabby. Posso entrare?”

Era Tabitha Halpern, il suo capo di stato maggiore. Se si presentava così presto, questo significava che non portava notizie buone, né tantomeno un caffè.

“Se proprio devi”, mormorò.

“Signore?” Non l'aveva sentito.

“Vieni, Tabby”.

La porta si aprì e la Halpern entrò; indossava un elegante tailleur blu scuro con una camicetta bianca. Fece due passi verso di lui e poi si fermò altrettanto all'improvviso, lanciando lo sguardo sul tappeto, visibilmente a disagio di fronte al presidente sdraiato sul letto in pigiama di seta.

“Signore”, gli disse, “c'è stato un… incidente. È necessario che si presenti nella Stanza delle Decisioni”.

Rutledge si accigliò. “Che tipo di incidente?”

Per un attimo, la donna esitò prima di rispondere. “Un sospetto attacco terroristico all’Avana”.

“Il giorno del ringraziamento?”

“È successo a tarda notte, ma… tecnicamente sì, signore”.

Rutledge scosse la testa. Che tipo di perversi potevano aver pianificato un attacco durante un giorno di festa? A meno che…” Tabby, Cuba celebra il Ringraziamento?”

“Signore?”

“Non importa. C'è tempo per un caffè?”

Lei annuì. “Gliene farò arrivare uno immediatamente”.

“Fantastico. Dì loro che sarò lì tra venti minuti”.

Tabby si girò sui tacchi e uscì dalla camera da letto, chiudendo la porta dietro di sé e lasciando Rutledge a brontolare sottovoce per l'ingiustizia della situazione. Alla fine, si alzò, stiracchiandosi e gemendo di nuovo e chiedendosi, per quella che doveva essere stata la diecimillesima volta, come si fosse trovato a vivere alla Casa Bianca.

La risposta tecnica era semplice. Cinque settimane prima, Rutledge era il presidente della Camera, un presidente della Camera davvero bravo, anche se non spettava a lui dirlo. Durante la sua carriera politica aveva guadagnato la reputazione di politico incorruttibile, fedele al suo codice morale e fermo nelle sue convinzioni.

Poi era arrivata la notizia del coinvolgimento dell'ex presidente Harris con i russi e del loro piano di annettere l'Ucraina. Con le prove incontrovertibili della registrazione di un interprete, le procedure di impeachment erano andate vertiginosamente in fretta. Quindi, a pochi minuti dalla mezzanotte prima della definitiva espulsione di Harris, il presidente, per ottenere una pena ridotta, aveva dichiarato il coinvolgimento del suo vicepresidente. Il vicepresidente Brown si era piegato come una sedia da giardino, non potendo in alcun modo negare di essere stato a conoscenza del coinvolgimento di Harris con Kozlovsky e i russi.

Era successo tutto in un giorno. Prima ancora che Rutledge avesse finito di leggere la trascrizione della testimonianza di Brown, l'impeachment di Harris fu approvato dal Senato e il vicepresidente si dimise con un processo in corso. Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, il terzo uomo nella gerarchia del potere, il Presidente della Camera democratico Jonathan Rutledge, avrebbe preso posto nello Studio Ovale.

Lui non lo voleva. Pensava che guidare la Camera sarebbe stato l'apice della sua carriera; non aveva mai aspirato ad andare oltre. E avrebbe potuto dire quelle tre piccole parole che avrebbero fatto la differenza, “rifiuto l'incarico”, ma così facendo avrebbe deluso tutto il suo partito. Il presidente Pro Tempore del Senato era un repubblicano del Texas, all'estrema destra nello spettro politico per quanto fosse possibile in un sistema democratico.

E così Rutledge divenne il Presidente Rutledge. Il suo prossimo passo sarebbe stato nominare un vicepresidente e far votare il Congresso, ma erano passate quattro settimane dal suo insediamento e non lo aveva ancora fatto, nonostante le crescenti pressioni e le numerose critiche. Era una decisione molto importante, e dopo quello che avevano fatto le ultime due amministrazioni, non c'erano molte persone a voler ancora ambire a quel ruolo. Aveva in mente qualcuno, la senatrice della California, Joanna Barkley, ma dall'inizio del suo mandato la situazione era stata tumultuosa, e aveva l'impressione che polemiche e critiche lo attendessero ad ogni angolo.

Ogni giorno gli venivano date motivazioni sufficienti per voler desistere. Ed era profondamente consapevole di poterlo fare; Rutledge avrebbe potuto nominare Barkley come suo vicepresidente, ottenere il voto di approvazione dal Congresso e quindi dimettersi, facendo di Barkley la prima donna presidente degli Stati Uniti. Avrebbe potuto giustificarlo con il vortice di eventi che avevano caratterizzato l'inizio del suo mandato. Sarebbe stato lodato, immaginava, per aver portato una donna alla Casa Bianca.

Era allettante. Soprattutto quando veniva svegliato con una notizia di un attacco terroristico nel Giorno del Ringraziamento.

Rutledge si abbottonГІ una camicia e annodГІ una cravatta blu, ma decise di non indossare una giacca e si rimboccГІ le maniche. Un inserviente fece entrare un carrello con caffГЁ, zucchero, latte e pasticcini assortiti, ma prese semplicemente una tazza di caffГЁ e la portГІ con sГ© mentre due agenti dei Servizi Segreti camminavano silenziosamente al suo fianco mentre procedeva verso la Stanza delle Decisioni.

Quella di venire costantemente scortato era solo un'altra cosa a cui doveva abituarsi. Essere sempre osservato. Non essere mai veramente solo.

I due agenti in abiti scuri lo seguirono giù per una rampa di scale e lungo una sala dove lo aspettavano altri tre agenti dei servizi segreti, i quali al suo arrivo annuirono mormorando “Signor Presidente”. Si fermarono davanti a due doppie porte di quercia; uno degli agenti si dispose di fronte a Rutledge a braccia conserte mentre l'altro gli aprì la porta, introducendolo alla Sala Conferenze John F. Kennedy, una sala di cinquecento metri quadri nel seminterrato dell'ala ovest della Casa Bianca, più comunemente nota come la Stanza delle Decisioni.

Le quattro persone giГ  presenti si alzarono mentre il presidente raggiungeva la sua posizione all'estremitГ  di un tavolo. Alla sua sinistra c'era Tabby Halpern e accanto a lei il segretario alla Difesa Colin Kressley. Il Segretario di Stato e il Direttore dei servizi segreti nazionali erano assenti; erano stati inviati a Ginevra per parlare alle Nazioni Unite sulla guerra commerciale in corso con la Cina e su come questa avrebbe potuto avere un impatto sulle importazioni europee. Al loro posto c'era il direttore della CIA Edward Shaw, un uomo dall'aspetto severo che Rutledge non aveva mai visto sorridere. E accanto a lui c'era una donna bionda sulla trentina, in tenuta professionale ma innegabilmente meravigliosa. Uno sguardo ai suoi occhi grigio ardesia gli riportГІ un ricordo alla memoria; Rutledge l'aveva incontrata prima, forse al suo insediamento, ma non riusciva a ricordare il suo nome.

Non comprendeva come tutti si fossero riuniti così in fretta, vestiti in modo impeccabile e apparentemente così pronti. Vispi earzilli, come diceva sua madre. Improvvisamente Rutledge si sentì decisamente sciatto con le sue maniche di camicia arrotolate e la cravatta allentata.

“Accomodatevi”, disse Rutledge mentre si abbandonava su una sedia di pelle nera. “Vogliamo dare a questa materia l'attenzione che merita, ma sicuramente ciascuno di noi vorrebbe essere altrove oggi. Quindi occupiamocene subito”.

Tabby fece un cenno a Shaw, che incrociò le mani sul tavolo. “Signor presidente”, disse il direttore della CIA, “alle 01.00 di ieri notte, si è verificato un incidente all’Avana, Cuba, in particolare vicino alla costa settentrionale del porto, in una zona chiamata Malecón, una popolare località turistica. Nell’arco di circa tre minuti, oltre cento persone hanno manifestato una serie di sintomi, che vanno da vertigini e nausea a perdita permanente dell'udito, perdita della vista e, in uno sfortunato caso, morte”.

Rutledge lo fissò attonito. Quando Tabby aveva detto un sospetto attacco terroristico, aveva supposto che fosse esplosa una bomba o che qualcuno avesse aperto il fuoco in un luogo pubblico. Perché gli stavano riferendo di strani sintomi e della perdita dell'udito? “Mi dispiace, direttore, non sono sicuro di seguire”.

“Signore”, disse la donna bionda accanto a lui. “Vicedirettore Maria Johansson, CIA, Unità Operazioni Speciali”.

Johansson, giusto. Rutledge ricordГІ improvvisamente di averla incontrata, come aveva pensato, il giorno del suo insediamento.

“Ciò che il direttore Shaw sta descrivendo”, continuò, “sono i tipici effetti di un'arma a ultrasuoni. Questo tipo di concentrazione su un'area limitata in un periodo di tempo così breve ci induce a supporre che si tratti di un attacco mirato”.

Le sue parole non aiutarono affatto Rutledge ad avere una visione più chiara. “Mi dispiace”, disse di nuovo, sentendosi un inetto. “Ha detto un'arma ad ultrasuoni?”

Johansson annuì. “Sì, signore”. Le armi ad ultrasuoni sono generalmente utilizzate come deterrenti non letali; la maggior parte delle navi della nostra Marina ne è equipaggiata. Le navi da crociera le utilizzano come difesa contro i pirati. Ma sulla base di ciò che sappiamo sia accaduto a Cuba, l'arma utilizzata ha effetti su più larga scala ed è più potente rispetto a quelle impiegate dal nostro esercito”.

Tabby si schiarì la gola. “La polizia dell'Avana ha raccolto notizie di almeno tre testimoni oculari che affermano di aver visto un gruppo di uomini mascherati caricare uno “strano oggetto” su una barca a seguito dell'attacco”.

Rutledge si massaggiГІ le tempie. Un'arma ad ultrasuoni? Sembrava uscito da un film di fantascienza. Non avevano mai smesso di stupirlo e confonderlo i modi creativi e originali in cui gli uomini cercavano di farsi del male e uccidersi a vicenda.

“Presumo che non crediate che questo sia un incidente isolato”, disse Rutledge.

“Ci piacerebbe presumere così, signore”, rispose Shaw. “Ma semplicemente non possiamo. Quell'arma e le persone che l'hanno utilizzata sono in libertà da qualche parte”.

“E la natura di questo attacco”, intervenne Johansson, “sembra casuale. Non possiamo discernere un motivo per colpire l'Avana o un'altra destinazione turistica ad eccezione dalla facilità di accesso e fuga, che in un caso come questo generalmente indicherebbe un banco di prova”.

“Un banco di prova”, ripeté Rutledge. Non aveva mai prestato servizio militare, né era mai stato impiegato in operazioni di intelligence o segrete, ma era pienamente consapevole di ciò che il vicedirettore stava suggerendo: quello era il primo attacco e ce ne sarebbero stati altri. “E suppongo che dovrei anche presumere che alcune delle vittime fossero americane”.

Tabby annuì. “Esatto, signore. Due di loro hanno riscontrato una cecità permanente. E l'unica vittima era una giovane donna americana…” Consultò i suoi appunti. “Di nome Megan Taylor. Del Massachusetts”.

Rutledge non era preparato ad affrontare tutto questo. Era giГ  abbastanza grave che non avesse ancora nominato il suo vicepresidente, una decisione su cui si era inabissato perchГ© non era sicuro che non si sarebbe dimesso subito dopo. Era abbastanza grave che fosse nell'occhio del ciclone, non solo dei media ma praticamente di tutto il mondo, a causa dei comportamenti dei suoi due predecessori. Era abbastanza grave che il nuovo leader della Cina avesse scatenato una guerra commerciale con gli Stati Uniti imponendo tariffe sempre crescenti sull'enorme quantitГ  di esportazioni prodotte in quel paese, che si prevedeva potesse causare un balzo dell'inflazione e, a lungo termine, potenzialmente destabilizzare l'economia americana.

E tutto ciГІ nel giorno del Ringraziamento.

“Signore?” Tabby lo incalzò con garbo.

Rutledge non si era reso conto di essersi perso nei suoi pensieri. Sobbalzò e si stropicciò gli occhi. “Va bene, ricapitolando: abbiamo motivo di credere che gli Stati Uniti potrebbero diventare un bersaglio?”

“Attualmente”, affermò il direttore Shaw, “dovremmo operare partendo dal presupposto che gli Stati Uniti saranno un obiettivo. Non possiamo permetterci di non farlo”.

“Abbiamo qualche informazione su chi possa esserci dietro a tutto questo?” Chiese Rutledge.

“Non ancora”, rispose Johansson.

“Queste azioni non ricordano il modus operandi di nessuno dei nostri amici mediorientali”, disse il generale Kressley. “Se dovessi fare una scommessa, penserei ai russi”.

“Non possiamo fare alcun tipo di ipotesi”, ribadì la Johansson con fermezza.

“Data la nostra storia recente”, affermò Kressley, “la definirei un'ipotesi plausibile”.

“Siamo un'agenzia di intelligence”, replicò la Johansson, seppur con un lieve sorriso. “E come tale, raccoglieremo informazioni e lavoreremo sui fatti. Non sulle supposizioni. Non sulle ipotesi”.

Rutledge era attratto da quella graziosa donna bionda che si rifiutava di retrocedere di fronte a un generale con quattro stellette. Si rivolse a lei e le chiese: “Cosa propone, Johansson?”

“Il nostro miglior ingegnere sta attualmente progettando un metodo per rintracciare questo tipo di arma. Basandomi sull’Avana, direi che è molto probabile che gli autori stiano vicino all'acqua e colpiscano un'area costiera. Con la sua approvazione, signore, vorrei inviare una squadra delle Operazioni Speciali per rintracciarli”.

Rutledge annuì lentamente: un'operazione della CIA sembrava un'opzione molto più accattivante rispetto al portare l'attenzione su un potenziale attacco. In silenzio e condiscrezione, pensò. Poi gli venne improvvisamente un'idea.

“Johansson”, chiese, “tra i tuoi agenti c'è l'uomo che ha portato alla luce il caso Kozlovsky, giusto? Colui che ha trovato l'interprete e ha recuperato la registrazione?”

La Johansson apparì stranamente titubante, ma annuì. “Sì, signore”.

“Come si chiama?”.

“Sarebbe… beh, lo chiamiamo Zero. Agente Zero, signore”.

“Zero. Giusto”. Rutledge si massaggiò il mento. “Lui. Voglio che mandiate lui”.

“Uhm, signore… non è abbastanza pronto per il campo in questo momento. Sta lavorando per tornare sul campo”.

Il presidente non sapeva cosa significasse, ma gli sembrava una scusa o un eufemismo. “Il suo compito è fare in modo che sia pronto, vicedirettore”. Non avrebbe accettato repliche; Rutledge sapeva che quello era l'uomo giusto. L'agente aveva salvato da solo l'ex presidente Pierson dall'assassinio e aveva scoperto il patto segreto tra Harris e i Russi. Se ci fosse stato qualcuno in grado di trovare l'arma ultrasonica e chiunque ci fosse dietro, doveva essere lui.

“Se posso”, disse la Johansson, “la CIA ha uno dei migliori tracker al mondo a sua disposizione. Un ex Ranger e un agente decorato a pieno titolo…”

“Fantastico”, la interruppe Rutledge, “mandate anche lui. Il prima possibile”.

“Sì, signore”, rispose piano la Johansson, fissando il piano del tavolo.

“C'è qualcos'altro?” chiese. Nessuno parlò, quindi Rutledge si alzò dal suo posto e anche gli altri quattro nella Stanza delle Decisioni si alzarono. “Allora tenetemi aggiornato e provate a godervi la festa, per quanto possibile”. Annuì e uscì dalla sala conferenze, e i due agenti dei servizi segreti lo seguirono immediatamente.

Essere sempre osservato. Non essere mai veramente solo.

In realtà, si rese conto, si sbagliava. In quel momento, si sentì in tutt'altro modo: non importa quante persone lo circondassero, lo consigliassero, lo proteggessero, lo spingessero in una direzione o nell'altra, si sentiva veramente solo.




CAPITOLO CINQUE


Zero si svegliГІ con la luce del sole che filtrava dalle persiane e gli scaldava il viso. Si mise a sedere e allungГІ le braccia per stiracchiarsi. Ma c'era qualcosa che non andava; quella camera da letto era piГ№ grande di quanto avrebbe dovuto essere, ma familiare. Non c'era una sola scrivania di fronte a lui, ma due, di cui una piГ№ bassa e sormontata da uno specchio.

Non si trovava nel suo appartamento a Bethesda. Si trovava nella sua camera da letto a New York, la loro camera da letto, nella casa in cui vivevano insieme. Prima… prima che accadesse tutto.

E quando girò lentamente la testa vide, sbalordito, che lei era lì. Sdraiata accanto a lui, con la trapunta tirata fino a metà busto, che dormiva pacificamente in una canottiera bianca, come faceva spesso. I suoi capelli biondi erano perfettamente disposti sul cuscino; c'era un leggero sorriso sulle sue labbra. Sembrava un angelo. Spensierata. Tranquilla.

Lui sorrise e si adagiГІ di nuovo sul cuscino mentre la guardava dormire. Osservando le sue guance perfette e la leggera fossetta sul mento che Sara aveva ereditato. Sua moglie, la madre dei suoi figli, il piГ№ grande amore della sua vita.

Sapeva che non era vero, ma desiderava che lo fosse, che quel momento potesse continuare all'infinito. Le toccò delicatamente la spalla, facendo scorrere le punte delle dita lungo la sua pelle liscia, fino al gomito…

Poi si accigliГІ.

La sua pelle era fredda. Non respirava.

Non stava dormendo. Era morta.

Uccisa da una dose letale di tetrodotossina, somministrata da un uomo che Zero aveva chiamato amico, un uomo a cui Zero aveva risparmiato la vita. Una decisione di cui si pentiva ogni giorno.

“Svegliati”, mormorò. “Per favore. Alzati”.

Non lo fece. Non si sarebbe svegliata mai piГ№.

“Per favore, svegliati”. Ripeté, con voce rotta.

Se era morta, era colpa sua.

“Svegliati”.

Г€ stata colpa sua se era stata assassinata.

“Sveglia!”

Zero fece un respiro mentre si metteva seduto sul letto. Era un sogno; era nella sua camera da letto a Bethesda, dalle pareti bianche e spoglie, con una sola scrivania. Non sapeva se avesse realmente urlato, ma aveva la gola secca e un forte mal di testa.

Gemette e guardò l'ora sul telefono mentre tornava alla realtà. Il sole era alto; era il giorno del Ringraziamento. Doveva alzarsi dal letto. Doveva mettere il tacchino nel forno. Non poteva soffermarsi su un incubo, perché ciò avrebbe significato soffermarsi sul passato e soffermarsi su…

Su…

“Oh mio Dio”, mormorò sottovoce. Le sue mani tremarono e gli si strinse lo stomaco.

Il suo nome. Non riusciva a ricordarlo.

Per un lungo momento rimase seduto in quel modo fissando il copriletto come se la risposta fosse scritta lì. Ma non era lì, e non sembrava nemmeno essere nella sua testa. Non riusciva a ricordare il suo nome.

Zero si strappГІ le coperte di dosso e praticamente si lasciГІ cadere dal letto. AllungГІ una mano sotto il letto, e tirГІ fuori una cassetta di sicurezza ignifuga grande quanto una valigetta.

“La chiave”, disse ad alta voce. “Dov'è la chiave, maledizione?” Si rialzò di nuovo in piedi e spalancò il cassetto più alto del comò, quasi estraendolo dalle guide. Afferrò la piccola chiave d'argento che giaceva lì, tra i calzini e le cinture arrotolate, e si lasciò cadere di nuovo a terra mentre apriva la cassetta di sicurezza.

All'interno c'erano vari documenti e oggetti importanti, tra cui il passaporto per lui e per le ragazze, il suo certificato di nascita e la tessera di previdenza sociale, due pistole, un migliaio di dollari in contanti e il suo anello nuziale. TirГІ fuori tutto e fece una piccola pila sul pavimento, perchГ© nessuno di questi oggetti era quello che stava cercando. Si fermГІ brevemente su una foto, una foto di loro quattro a San Francisco un'estate, quando Maya aveva cinque anni e Sara tre. Ricordava perfettamente la donna nella foto; nella sua testa risuonava la sua risata allegra, sentiva il suo respiro sull'orecchio, il tocco caldo della sua mano nella sua.

“Qual è il suo nome, maledizione?!” La sua voce tremò mentre gettava da parte la foto e continuava a scavare. Doveva essere lì. Molte delle sue cose erano ancora nel seminterrato di Maria, ma era certo di averlo messo nella cassetta di sicurezza…

“Grazie a Dio!” Riconobbe la busta e la aprì rapidamente. All'interno c'era un solo foglio, stampato su cartoncino spesso con il timbro di una corte di New York. Il loro certificato di matrimonio.

La sua gola si asciugò mentre fissava il nome. “Katherine”, si disse. “Si chiamava Katherine”. Ma non si sentì sollevato; quello che provò fu soltanto terrore. Il nome non gli suonava familiare, non riportava in lui alcun ricordo. Era come una parola nuova sulla sua bocca. “Katherine”, disse di nuovo. Katherine Lawson”.

Non gli suonava bene, anche se quel nome era stampato proprio lì davanti ai suoi occhi in nero su bianco. Si chiamava Katherine? Lui la chiamava Katherine? O forse era…

Kate.

Zero fece un enorme sospiro di sollievo. Kate. La chiamava Kate. I ricordi ritornarono tutti insieme all'improvviso come un rubinetto che si apriva. Ora finalmente provava sollievo, seppur accompagnato dalla consapevolezza che per quei pochi minuti strazianti, aveva completamente dimenticato il nome di sua moglie e non era qualcosa che potesse giustificare come un lapsus momentaneo.

Zero afferrò il suo cellulare e cercò tra i suoi contatti. Aveva bisogno di risposte. L'orario in Svizzera era indietro di sei ore rispetto a lì. Probabilmente era il primo pomeriggio, forse il loro ufficio era già aperto.

“Rispondi”, supplicò Zero. “Rispondi, rispondi…”

“Pronto, qui è l'ufficio del dottor Guyer”. La voce femminile che rispose alla chiamata era sommessa, tinta di un accento svizzero-tedesco. L'avrebbe trovata sensuale se non fosse stato preso dal panico.

“Alina?” chiese rapidamente. “Devo parlare con il dottor Guyer, è molto importante…”

“Mi scusi”, disse, “posso chiedere chi parla?”

Giusto. “Sono Reid. Voglio dire, Kent. Kent Steele. Zero”.

“Ah, Agente Steele”, disse lei allegramente. “Che bello sentirla”.

“Alina, è urgente”.

“Certo”. Immediatamente tornò seria. “Lo chiamo, attenda un momento”.

Il dottor Guyer era un geniale neurologo svizzero, probabilmente tra i migliori al mondo, ed era anche l'uomo che aveva installato il soppressore della memoria delle dimensioni di un chicco di riso nella testa di Zero quattro anni prima, che aveva cancellato dalla sua memoria qualsiasi ricordo della CIA. Ma Guyer aveva agito su richiesta di Zero, e in seguito fu anche il medico che eseguì la procedura che gli aveva riportato tutti quei ricordi, molto tempo dopo.

Entrambi erano stati in contatto costantemente durante l'ultimo anno; il dottore era stato felice di apprendere che i ricordi di Zero erano tornati e si era mostrato desideroso di eseguire ulteriori test, ma ciГІ avrebbe richiesto un viaggio in Svizzera, che Zero non aveva avuto il tempo o l'energia per fare, sebbene ammettesse che glielo doveva. Tuttavia, se qualcuno avesse potuto dirgli cosa stesse succedendo nella sua mente, quello era Guyer.

“Agente Steele” disse una voce profonda attraverso il telefono, accentuata e abbastanza cupa da suggerire che avrebbero saltato i convenevoli. “Alina ha detto che sembravi angosciato. Qual è il problema?”

“Dottor Guyer”, disse Zero. “Ho bisogno di aiuto. Non sono sicuro di cosa stia succedendo, ma…” Si fermò quando un altro orribile pensiero lo colpì. E se quella non fosse una chiamata privata? E se qualcuno stesse ascoltando? La CIA aveva già tracciato le sue telefonate in precedenza. E se avessero sentito tutto ciò…

Stai diventando paranoico. Non fare sempre gli stessi errori.

Nonostante ciò, una volta che quel pensiero si trovò nella sua mente, non riuscì più ad allontanarlo. Dopotutto, era sempre meglio essere cauti. Era appena tornato alla CIA, ed era felice. Come se la sua vita avesse di nuovo uno scopo. Se avessero saputo di tutto ciò, le cose sarebbero cambiate molto rapidamente per lui e non voleva tornare alla fase depressiva che aveva vissuto per più di un anno.

“Agente Steele? Ci sei ancora?”

“Sì. Scusi”. Zero fece del suo meglio per mantenere la sua voce calma e uniforme mentre diceva: “Solo che… ho qualche problema a ricordare alcune cose”.

“Hmm”, disse Guyer pensieroso. “A breve o lungo termine?”

“Direi più a lungo termine”.

“E credi che questo possa essere… preoccupante?” Guyer stava scegliendo con cura le parole. Zero si chiese se il dottore stesse pensando la stessa cosa, che la loro chiamata potesse essere monitorata. Un dottore come Guyer avrebbe potuto trovarsi nei guai per ciò che aveva fatto, sicuramente avrebbe perso la sua licenza medica, o forse sarebbe stato addirittura arrestato e sarebbe finito in prigione.

“Direi che penso che dovrei programmare quel viaggio per vederla prima o poi”, gli disse Zero.

“Capisco”. Guyer rimase in silenzio, e quella pausa confermò a Zero il fatto che il dottore stesse attento come lui. “Beh, sei fortunato. Non dovrai venire da me; ho una conferenza la prossima settimana al Johns Hopkins a Baltimora. Posso vederti in quei giorni. Sono sicuro che uno dei miei colleghi mi permetterà di utilizzare una sua sala”.

“Perfetto”. Zero si sentì immediatamente sollevato. Era certo che il dottore sapesse cosa fare, o almeno fosse in grado di spiegare cosa gli stesse succedendo in testa. “Mi mandi i dettagli, ci vediamo lì”.

“Va bene. A presto, agente Steele”. Guyer riattaccò e Zero si sedette frustrato sul bordo del letto. Le sue mani tremavano ancora e il pavimento della sua camera da letto era pieno di ricordi.

Forse ГЁ stato solo un lapsus delmomento, si disse. Forse quel sogno mi ha scosso ed ГЁ stata solo una breve dimenticanza. Forse sono andato nel panico per niente.

Ovviamente non credeva a nessuna delle bugie che si stava ripetendo.

Ma qualsiasi cosa stesse accadendo nella sua testa, la vita doveva continuare. Si costrinse ad alzarsi, a indossare un paio di jeans e una camicia. Rimise tutti gli oggetti nella cassetta di sicurezza, la chiuse a chiave e la spinse sotto il letto.

In bagno si lavГІ i denti e si spruzzГІ un po' d'acqua fredda sul viso prima di dirigersi verso la cucina, giusto in tempo per vedere Maya che chiudeva lo sportello del forno e impostava il timer digitale.

Zero la guardò stupito. “Che stai facendo?”

Lei si strinse nelle spalle e si scostò la frangia dalla fronte. “Ho messo il tacchino nel forno”.

Lui sbatté le palpebre. “Stai cucinando il tacchino? Ti insegnano anche questo a West Point?”

Maya sorrise. “No”. Poi sollevò il telefono. “Ma Google sì”.

“Beh, ottimo. Allora mi farò un caffè”. Fu di nuovo piacevolmente sorpreso di scoprire che aveva già preparato anche quello. Maya era sempre stata tanto indipendente quanto intelligente, ma gli sembrava quasi che stesse cercando di aiutarlo. Non poté fare a meno di chiedersi se si sentisse impotente in merito alla situazione di Sara tanto quanto lui; forse quello era un modo di dimostrargli il suo supporto.

Così decise di non intervenire e di lasciarle fare quello che voleva. Si sedette al bancone e mescolò il caffè, cercando di allontanare dalla mente l'episodio spiacevole del suo risveglio. Pochi minuti dopo Sara si avventurò in cucina, ancora in pigiama, con gli occhi parzialmente aperti e i capelli arruffati.

“Buongiorno”, disse Maya allegramente.

“Buona festa del Ringraziamento”, intervenne Zero.

“Mm”, borbottò Sara mentre si trascinava verso il caffè.

“Sei rimasta una persona non molto mattiniera, eh, topolina?” Maya la stuzzicò leggermente.

Sara bofonchiò qualcos'altro, ma lasciò trapelare il cenno di un sorriso sulle sue labbra al suono del suo soprannome d'infanzia. Sentì un calore dentro, e non era solo il caffè; era una sensazione che gli mancava da tempo, la sensazione di essere veramente a casa.

E poi squillГІ il telefono.

Maria lo stava chiamando; immediatamente fece una smorfia. Si era dimenticato di scriverle l'ora e l'indirizzo. Quindi fu preso nuovamente dal panico; non era da lui dimenticare qualcosa del genere. Era un altro sintomo dei suoi problemi di memoria? E se non l'avesse soltanto dimenticato, ma se fosse stato eliminato dai suoi pensieri, proprio come era successo con il nome di Kate?

Calmati, si disse. Г€ solo un momento di distrazione, niente di piГ№.

Fece un respiro e rispose al telefono. “Mi dispiace tanto”, disse immediatamente. “Avrei dovuto scriverti un messaggio, e mi è sfuggito di mente…”

“Non è per questo che chiamo, Kent”. Maria aveva un tono preoccupato. “E sono io a dovermi dispiacere. Ho bisogno che tu venga”.

Zero si fece cupo. Maya notò la sua espressione e si incupì a sua volta mentre Zero si alzava dallo sgabello e si allontanava dirigendosi in salotto. “Vuoi che io venga? Intendi dire a Langley?”

“Sì. Mi dispiace, so che il tempismo è pessimo, ma c'è un problema e ho bisogno di te in questo momento”.

“Io…”, Il suo primo istinto fu di rifiutare categoricamente. Non solo era un giorno di festa, stava ancora affrontando la guarigione di Sara, ma Maya era tornata per la prima volta dopo molto tempo. Considerando anche la perdita di memoria, Maria aveva ragione: il tempismo non poteva essere dei peggiori.

Quasi sbottò, “Devo proprio?” ma si trattenne per non sembrare petulante.

“Nemmeno io sono felice”, disse Maria prima che lui potesse pensare a un modo di rifiutare. “E non voglio certo far pesare il mio ruolo”. Zero capì perfettamente; Maria gli stava ricordando che adesso era il suo capo. “Ma non ho scelta. Non è stata una mia idea. Il presidente Rutledge ha chiesto di te”.

“Ha chiesto di me?” Ripeté Zero debolmente.

“Beh, ha chiesto dell'uomo che ha scoperto il caso Kozlovsky, c'è andato piuttosto vicino…”

“Forse parlava di Alan…”, suggerì Zero speranzoso.

Maria ridacchiò, ma sembrò un sospiro più che una vera e propria risata. “Mi dispiace, Kent”, disse per la terza volta. “Proverò ad essere breve, ma…”

Ma questo significa che verrГІ mandato sul campo. Il sottinteso era chiarissimo. E peggio ancora, non poteva in alcun modo rifiutare. Era sotto il controllo della CIA per quello che aveva fatto, ora piГ№ che mai e non poteva certo dire di no al presidente, che era a tutti gli effetti il capo del suo capo.

“Va bene”, cedette. “Dammi trenta minuti”. Terminò la chiamata e gemette piano.

“Va tutto bene”. Si voltò rapidamente e trovò Maya in piedi dietro di lui. L’appartamento non era abbastanza grande da consentirgli di avere una chiamata privata, ed era certo che lei potesse aver capito la natura della conversazione anche sentendo solo le sue parole. “Vai, fai quello che devi fare”.

“Quello che devo fare”, disse lui, “è stare qui con te e Sara. È il giorno del Ringraziamento, maledizione…”

“Sembra che non tutti se ne ricordino”. Stava facendo la stessa cosa che lui stesso era solito fare; tentare di alleggerire la situazione con un po' di umorismo. “Non preoccuparti. Sara e io ci occuperemo della cena. Torna quando puoi”.

Lui annuì, grato per la sua comprensione; voleva aggiungere altro, ma alla fine mormorò solo “grazie” e tornò in camera da letto per cambiarsi. Non c'era altro da dire, perché Maya sapeva bene che probabilmente la sua giornata si sarebbe evoluta su un aereo piuttosto che a una cena del Ringraziamento insieme alle sue figlie.




CAPITOLO SEI


Chiunque pensi all'America centrale, probabilmente potrebbe pensare a un paesaggio molto simile a quello di Springfield, nel Kansas, una cittadina circondata da terreni agricoli in leggera pendenza, un luogo in cui le mucche erano più numerose dei cittadini, così piccola che era possibile percorrerla da parte a parte trattenendo in breve tempo. Alcuni la potrebbero definire idilliaca. Altri potrebbero trovarla affascinante.

Samara la trovava semplicemente disgustosa.

C'erano quarantuno cittГ  chiamate Springfield negli Stati Uniti, e questo la rendeva ancora piГ№ insignificante. I suoi abitanti erano meno di un migliaio; sulla strada principale erano collocati un ufficio postale, un bar e un ristorante, un negozio di alimentari, una farmacia e un piccolo supermercato.

Per questa ragione e per molte altre, era un luogo perfetto.

Samara raccolse i suoi capelli rosso vivo in una coda di cavallo, mostrando un piccolo tatuaggio sul collo, un carattere che significava “fuoco”, Pinyin in Huŏ, il cognome che aveva adottato dopo aver disertato.

Si appoggiò al furgone e si esaminò le unghie, in attesa. La musica suonata da giovani e adolescenti mentre marciavano al ritmo di un rullante arrivava fino a lì. Presto sarebbero arrivati.

Dietro di lei, nell'area di carico del furgone, c'erano quattro uomini e l'arma. L'attacco all'Avana era andato benissimo, era stato quasi facile. Con un po’di fortuna, i governi cubano e americano avrebbero creduto che fosse un banco di prova, ma la loro arma era già stata testata abbondantemente. Lo scopo dell'attacco all'Avana era molto più di questo; era creare il caos. Seminare confusione. Dare l'illusione di un avvertimento mentre gli uomini di potere si grattano il capo confusi.

Lì vicino, Mischa sedeva sul marciapiede dietro il furgoncino colorato e tirava pigramente le erbacce marroni che si erano fatte strada attraverso le fessure del marciapiede. La ragazza aveva dodici anni ed era spesso seria, diligentemente calma e deliziosamente letale. Indossava jeans e scarpe da ginnastica bianche e, ironia della sorte, una felpa azzurra con cappuccio con la scritta BROOKLYN serigrafata in lettere bianche sul davanti.

“Mischa”. La ragazza sollevò lo sguardo; i suoi occhi verdi erano opachi e inespressivi. Samara allungò un pugno e la ragazza aprì la mano. “È quasi ora”, le disse Samara in russo mentre lasciava cadere due oggetti sul palmo della mano: tappi per le orecchie elettronici, appositamente progettati per attutire una particolare frequenza.

Anche l'arma era insignificante, perfino brutta. La maggior parte delle persone difficilmente avrebbe creduto che un simile dispositivo fosse un'arma, e questo era un grande vantaggio. La frequenza veniva emessa da un ampio disco nero del diametro di un metro e uno spessore di diversi centimetri, che produceva onde sonore ultra-basse in un cono unidirezionale. Gli effetti piГ№ potenti si verificavano in un raggio di circa cento metri, ma gli effetti deleteri dell'arma si potevano sentire fino a trecento metri di distanza. Il disco era montato su una piattaforma girevole che non solo lo teneva in piedi come una parabola satellitare, ma gli permetteva di girare in qualsiasi direzione. La piattaforma era a sua volta saldata a un carrello d'acciaio con quattro spesse ruote, il quale conteneva anche il pacco batteria agli ioni di litio che alimentava l'arma. La sola batteria pesava trenta chili; tutto insieme, incluso il carrello dei dolly, l'arma ad ultrasuoni pesava quasi centocinquanta chili, motivo per cui tali armi venivano generalmente montate sulle navi o in cima a delle jeep.

Ma montare la loro arma su un veicolo l'avrebbe resa molto piГ№ difficile da trasportare e anche meno discreta, e per questo motivo erano necessari i quattro uomini nel furgone. Erano tutti mercenari altamente qualificati, ma per lei erano poco piГ№ che facchini. Se l'arma fosse stata piГ№ leggera, piГ№ manovrabile, Samara e Mischa avrebbero potuto gestire questa operazione da sole, ne era certa. Ma dovevano lavorare con quello che avevano, e data la sua potenza l'arma non avrebbe potuto essere piГ№ compatta.

Samara si era preoccupata della logistica, ma fino a quel momento non aveva incontrato alcun problema. Immediatamente dopo l'attacco dell'Avana, avevano caricato l'arma su una barca che li aveva portati a nord verso Key West. All'aeroporto si erano imbarcati rapidamente su un aereo cargo di medie dimensioni che li aveva portati a Kansas City. Tutto era stato organizzato diverse settimane prima. Ora non dovevano fare altro che attuare il piano.

Samara si aggirava con discrezione nell'angolo dell'isolato mentre la musica della banda diventava sempre piГ№ forte. Ormai poteva vederli dirigersi verso di lei. Il furgoncino era parcheggiato sul marciapiede fuori dalla drogheria, a qualche metro dal punto in cui i coni arancioni chiudevano la strada per la sfilata.

Samara aveva fatto tutte le ricerche. La scuola comunale di Springfield organizzava ogni anno una parata per il Giorno del Ringraziamento, guidata dalla loro banda, lungo un percorso tortuoso di due miglia che partiva da un parco locale, attraversava la cittГ  e si chiudeva ad anello. In prima fila nella parata c'era un giovane tamburino, con un cappello ridicolmente alto, che percuoteva il suo strumento con enfasi con un bastone. A seguirli c'era la squadra di football senza vittorie del piccolo college, e poi la squadra di cheerleader. Poi sarebbe arrivato il carro con il sindaco di Springfield e sua moglie seguiti dai loro i vigili del fuoco locali. A chiudere la parata c'erano i membri della facoltГ  e l'associazione atletica.

Era tutto così disgustosamente americano.

“Mischa”, ripeté Samara. La ragazza annuì seccamente e si infilò i tappi per le orecchie elettronici. Si alzò dal marciapiede e prese posizione vicino alla cabina del furgone, appoggiandosi alla portiera del guidatore per schermarsi parzialmente dalla frequenza.

Samara sganciò una radio dalla cintura. “Due minuti”, disse in russo. “Accendi”. Aveva insegnato lei stessa il russo alla sua squadra, pretendendo che parlassero solo quella lingua in pubblico.

Un vecchio con un maglione di pile si accigliГІ mentre le passava accanto; sentire qualcuno parlare russo a Springfield, nel Kansas, era strano quanto sentire uno Shar-Pei parlare cantonese. Samara si accigliГІ e si affrettГІ per la sua strada, fermandosi quando raggiunse l'angolo per assistere alla sfilata.

Sembrava che l'intera cittГ  si fosse radunata per l'evento: c'erano sedie da giardino allineate per diversi isolati, bambini che aspettavano con impazienza di raccogliere le caramelle che sarebbero state lanciate a piene mani.

Samara lanciГІ un'occhiata alla ragazza alle sue spalle. A volte si chiedeva se dentro di lei fosse rimasto qualche residuo dell'infanzia; se osservasse gli altri bambini desiderando ardentemente di essere al loro posto, o se le sembrassero degli estranei. Ma lo sguardo di Mischa era freddo e distante. Se c'era qualche dubbio dietro quegli occhi, era diventata esperta a nasconderlo.

La banda in marcia girГІ l'angolo portando con sГ© gli squilli di trombe e i rulli di tamburi, volgendo le spalle a Samara e al furgone. Seguivano, a piedi, dei ragazzi in maglietta: era la squadra di football del college che gettava caramelle tra la folla, risvegliando l'entusiasmo dei bambini che sfrecciavano in avanti e si accovacciavano per afferrarle come degli avvoltoi su una carcassa.

Qualcosa atterrГІ vicino ai piedi di Samara. Lei lo raccolse con cautela tra due dita. Era un Tootsie Roll. Non potГ© fare a meno di sorridere. Che tradizione incredibilmente bizzarra: i giovani del paese piГ№ ricco del mondo si accalcavano per accaparrarsi le caramelle piГ№ economiche, gettate pigramente sul marciapiede.

Samara si avvicinГІ a Mischa vicino alla cabina del furgone, volgendo le spalle alla parata e ai suoi avventori. Le porse la caramella. Un lampo di curiositГ  passГІ sul giovane viso di Mischa mentre la prendeva.

“Spasiba”, mormorò la ragazza. Grazie. Ma invece di scartarla e mangiarla, la infilò nella tasca dei jeans. Samara l'aveva addestrata bene; avrebbe ricevuto una ricompensa quando se la sarebbe meritata.

Samara portò di nuovo la radio alle labbra. “Inizio tra trenta secondi”. Ma non aspettò una risposta; si mise i tappi per le orecchie, una voce acuta ma dolce le sussurrò qualcosa all’orecchio. I quattro uomini nel vano di carico del furgone avrebbero attaccato da lì. Non avrebbero dovuto nemmeno tirare fuori l'arma o aprire lo sportello posteriore del veicolo. La frequenza ultrasonica era in grado di viaggiare attraverso l'acciaio, attraverso il vetro, anche attraverso i mattoni senza venire attutita in modo considerevole.

Samara incrociò le braccia e si mise in piedi accanto a Mischa, facendo mentalmente un conto alla rovescia. Non sentiva più la banda né l'applauso della folla: ogni suono era sovrastato dal rumore lamentoso dei tappi per le orecchie. Era strano vedere così tante cose ma non sentire nulla, era come fissare un televisore muto. Per un momento pensò a quell'assurdo paradosso: se un albero cade in mezzo alla foresta e non c'è nessuno intorno a sentirlo, emette comunque un suono? La loro arma non emise alcun suono. La frequenza era troppo bassa per essere percepita dall'orecchio umano. Ma avrebbe comunque avuto i suoi effetti devastanti.

Samara non sentì la musica né il frastuono generale della folla, e non sentì nemmeno le prime urla. Ma pochi istanti dopo che il suo conto alla rovescia raggiunse lo zero, vide i corpi cadere sull'asfalto. Vide i cittadini di Springfield, nel Kansas, in preda al panico, correre, calpestarsi l'un l'altro come i tanti bambini che si arrampicavano per cercare caramelle. Alcuni si contorcevano; diversi vomitavano. Gli strumenti caddero sull'asfalto con fragore insieme ai secchi pieni di caramelle. A non più di venticinque metri da lei, un giocatore di football cadde sputando sangue.

C'era tanta bellezza in quel caos. L'intera esistenza di Samara si era basata sul regime, sul protocollo, sulla pratica, eppure lei era una delle poche a sapere quanto potesse essere inaffidabile tutto ciГІ non appena il caos prende il sopravvento. In quelle situazioni, contava solo l'istinto. Г€ in quelle situazioni che si impara a conoscere sГ© stessi e si scopre ciГІ di cui si ГЁ capaci. Nel caos che si svolgeva in silenzio davanti ai suoi occhi, le famiglie calpestavano i propri cari. Mariti e mogli abbandonavano i loro partner per salvare sГ© stessi. Regnava la confusione piГ№ totale. La folla avrebbe finito per fare piГ№ danni di quanti non ne avrebbe fatti l'arma.

Ma non potevano indugiare. Fece un cenno a Mischa, che fece il giro della cabina e salì sul sedile del passeggero mentre Samara si metteva al volante e inseriva la chiave nel blocchetto di accensione. Ma non accese il motore. Sarebbero rimasti ancora un minuto, in modo tale che gli effetti dell'attacco fossero davvero devastanti; dopodiché avrebbero lasciato Springfield, facendo in modo che le autorità si domandassero quale fosse il significato dell'attacco in quell'insignificante cittadina nel Kansas.




CAPITOLO SETTE


Zero entrò al George Bush Center for Intelligence, il quartier generale della CIA situato nella cittadina di Langley, in Virginia. Attraversò il vasto pavimento di marmo accompagnato dal rumore dei suoi passi che echeggiavano mentre calpestava il grande emblema circolare, uno scudo e un'aquila in grigio e bianco, circondato dalle parole “Central Intelligence Agency, Stati Uniti d'America” e si diresse dritto verso gli ascensori.

Non c'era quasi nessuno ad eccezione di qualche guardia e di alcuni assistenti amministrativi che si occupavano della burocrazia. Era ancora piuttosto nervoso per essere stato chiamato proprio in quel momento in cui si trovava con le sue ragazze e sperava che il briefing sarebbe stato davvero breve.

Ma quella prospettiva gli sembrГІ poco probabile.

“Aspetta”, lo chiamò una voce familiare mentre Zero premeva il pulsante per il secondo piano, dove si sarebbe svolta la riunione. Allungò una mano per impedire alle porte di chiudersi, e un attimo dopo l'agente Todd Strickland entrò nell'ascensore insieme a lui. “Grazie, Zero”.

“Hanno chiamato anche te, eh?”

“Già”. Disse Strickland scuotendo la testa. “Ero appena arrivato all'ospedale”.

“Trascorri il Ringraziamento con i veterani?”

Strickland annuì con noncuranza, e Zero intuì che non fosse un argomento di cui era ansioso di parlare. Todd Strickland aveva soltanto trent'anni, aveva un collo largo e muscoloso, e portava ancora i capelli nel tipico taglio militare dei soldati dell'Esercito. I suoi occhi luminosi, i lineamenti da ragazzo e le guance ben rasate gli davano un aspetto giovane e gentile, ma Zero sapeva che dietro quell'aspetto innocente c'era un'immensa forza; Strickland era uno dei migliori Ranger che avesse mai conosciuto. Aveva trascorso quasi quattro anni della sua giovane vita a rintracciare gli insorti nei deserti del Medio Oriente, dormendo nella sabbia, arrampicandosi nelle caverne e razziando le basi militari. Era un combattente, eppure era riuscito a mantenere una compassione tanto forte quanto il suo senso del dovere.

“Di cosa si potrebbe trattare, hai qualche idea?” Chiese Zero mentre le porte dell'ascensore si aprivano.

“Se dovessi tirare a indovinare? Probabilmente l'attacco di ieri sera all'Avana”.

“C'è stato un attacco all'Avana ieri sera?”

Strickland ridacchiò leggermente. “Non guardi mai le notizie, vero?” Insieme percorsero un corridoio vuoto. Sembrava che quasi tutta Langley si stesse godendo la vacanza a casa con la famiglia, eccezion fatta per loro, naturalmente.

“Sono stato un po' occupato”, ammise Zero.

“A proposito, come stanno le ragazze?” Strickland non era estraneo a Maya o Sara; da quando la vita delle ragazze era stata minacciata da un assassino psicopatico, il giovane agente aveva fatto voto di tenerle d'occhio, indipendentemente dal fatto che Zero fosse presente o meno. Finora aveva mantenuto la parola.

“Stanno…” Stava per dire semplicemente “stanno bene”, ma si fermò. “Stanno crescendo. Che diamine, forse sono già cresciute”. Zero sospirò. “Sarò sincero”. Se veniamo spediti da qualche parte oggi, non so cosa fare con Sara. Non penso che stia abbastanza bene per essere lasciata sola”.

Strickland fece una pausa mentre raggiungevano la porta della sala riunioni chiusa, oltre la quale si sarebbe tenuto il briefing. Ma indugiò e si infilò una mano nella tasca posteriore. “Stavo pensando alla stessa cosa”. Strickland consegnò a Zero un biglietto da visita.

Zero si fece cupo. “Che cos'è?” Il cartoncino era piuttosto semplice, color avorio, con in rilievo un sito Web e un numero di telefono e il nome “Seaside House Recovery Center”.

“È un posto a Virginia Beach”, spiegò Strickland, “dove le persone come lei possono andare a … curarsi. Ho trascorso alcune settimane lì, una volta. Sono brave persone. Possono aiutarla”.

Zero annuì lentamente, un po' sorpreso dal fatto che tutti sembravano aver pensato a quella soluzione ad eccezione di lui. Maya gli aveva già detto che Sara aveva bisogno di un aiuto professionale, ed evidentemente anche Todd lo pensava. Sapeva esattamente perché non ci avesse pensato lui; voleva riuscire ad aiutarla da solo. Voleva essere colui che l'aveva aiutata ad uscirne. Ma sapeva, in fondo, che lei aveva bisogno di più di quanto lui potesse offrirle.

“Spero di non essere stato indiscreto”, disse Todd. “Ma, ehm… Ho telefonato loro per assicurarmi che avessero posto. Mi hanno detto che c'è un posto per lei, quando vorrà”.

“Grazie”, mormorò Zero. Non sapeva cos'altro dire; certamente non era stato indiscreto, aveva semplicemente fatto qualcosa che Zero forse non si sarebbe mai convinto a fare. Infilò in tasca il biglietto da visita e indicò la porta. “Dopo di te”.

Aveva partecipato a decine di briefing in qualitГ  di agente della CIA, ma ogni volta era un'esperienza nuova. Talvolta erano riunioni affollate e caotiche, piene di rappresentanti di agenzie cooperanti e videoconferenze con esperti in materia. Altre volte erano piccole, tranquille e riservate. E sebbene fosse certo che questa sarebbe stata una riunione tranquilla, fu comunque abbastanza sorpreso di trovare una sola persona seduta al tavolo, con un tablet di fronte a lei.



Anche Strickland sembrava perplesso, perché chiese: “Siamo in anticipo?”

“No”, disse Maria alzandosi. “Siete arrivati giusto in tempo. Accomodatevi”.

Zero e Todd si scambiarono un'occhiata e si sedettero uno di fronte all'altro di fianco a Maria, che era al capo di un lungo tavolo.

“Beh”, mormorò l'agente più giovane, “non è poi un benvenuto così accogliente”.

“Mi dispiace avervi chiamato in un giorno di festa”, iniziò. “Sapete che non lo avrei mai fatto se avessi avuto una scelta”. Nell'aggiungere quelle parole, si rivolgeva soprattutto Zero; Maria sapeva esattamente chi e cosa lo aspettava a casa. Dopotutto, era stata invitata anche lei. “Arriverò subito al dunque”, proseguì. “Ieri sera si è verificato un incidente sul lungomare settentrionale dell'Avana, e abbiamo forti ragioni per credere che si sia trattato di un attacco terroristico calcolato”.

Disse loro tutto ciГІ che sapeva; che oltre un centinaio di persone aveva manifestato una vasta gamma di sintomi e che il fatto che le persone che avevano subito gli effetti piГ№ gravi fossero tutte vicine suggeriva l'utilizzo di un'arma ad ultrasuoni posizionata vicino alla costa. Mentre parlava, la punta delle sue dita scivolava sul touch-screen del tablet, facendo scorrere le foto delle vittime scattate dai servizi di emergenza di Cuba. Alcuni di loro non riuscivano a stare in piedi; altri avevano sottili rivoli di sangue che colavano dalle orecchie. Alcuni erano stati portati via in barella.

“C'è stata una sola vittima”, concluse Maria, “una giovane donna americana in vacanza. Non è stata trovata l'arma, e perciò siamo stati coinvolti noi”.

Zero aveva giГ  sentito parlare di questo tipo di arma ad ultrasuoni o di qualcosa del genere, ma ad eccezione delle minuscole granate soniche che Bixby aveva preparato, non aveva alcuna esperienza in merito. Dovette tuttavia riconoscere che, nonostante non ci fossero immagini dell'arma o degli assalitori, sembrava molto simile a un attacco terroristico, e ciГІ rendeva tutto ancora piГ№ confuso.

“Kent?” Disse Maria. “Che ne pensi?”

Lui scosse la testa. “Onestamente, sono un po' perplesso. Perché costruire o acquistare questo tipo di arma quando un singolo fucile d'assalto e alcune cartucce avrebbero fatto molti più danni?”

“Forse fare danni non era il loro primo obiettivo”, suggerì Strickland. “Forse era un messaggio. Per quanto ne sappiamo, i responsabili potrebbero essere cubani. Hanno preso di mira una zona turistica; forse sono nazionalisti e questa era una specie di protesta violenta”.

“È possibile”, ammise Maria. “Ma dobbiamo lavorare sui fatti e gli unici fatti che abbiamo in questo momento sono che tra le vittime c'erano alcuni cittadini italiani, che uno di loro è ora morto, e quest'arma è ancora in giro… e qui entrate in gioco voi”.

Zero e Strickland si scambiarono un'occhiata perplessa e poi guardarono nuovamente Maria. Per un minuto Zero aveva iniziato a pensare che questo potesse essere solo un briefing di intelligence, in cui li aggiornava in merito a quello che era successo a Cuba, ma le sue ultime parole avevano reso tutto piГ№ chiaro.

Non c'era alcun dubbio a riguardo; sarebbe stato rimandato sul campo.

“Aspetta un attimo”, disse Strickland. “Stai dicendo che qualcuno, da qualche parte nel mondo, ha un'arma a ultrasuoni portatile e molto potente, e cosa vorresti che facciamo? Dobbiamo andare a cercarla?”

“Capisco che non c'è molto su cui lavorare…” Rispose Maria.

“Non c’è assolutamente nulla su cui lavorare”.

Zero fu un po' sorpreso dall'atteggiamento di Strickland; in fondo era ancora un soldato e non aveva mai parlato così a un suo superiore, nemmeno a Maria. Ma lo capì, perché mentre Strickland esprimeva la sua indignazione, Zero si sentì pervadere da un'ondata di rabbia. Era quello il motivo per cui era stato allontanato dalla sua famiglia nel giorno del Ringraziamento? Gli dispiaceva per le vittime dell'attacco all'Avana, ma in genere veniva chiamato per fermare guerre nucleari ed evitare uccisioni di massa, non per andare a caccia di un'arma che aveva fatto una sola vittima.

“A dire il vero, abbiamo qualcosa”, disse Maria a Strickland. “Alcuni testimoni oculari al porto affermano di aver visto un gruppo di uomini, quattro o cinque, che indossavano una sorta di maschera protettiva o un elmetto e caricavano un 'oggetto dall'aspetto strano' su una barca immediatamente dopo l'attacco. Non hanno fornito molti dettagli, ma alcune persone hanno anche riferito di aver visto una donna con i capelli rosso vivo, forse caucasica, con loro”.

“Va bene, è già qualcosa”, concordò Strickland, sembrando desistere da ulteriori proteste. “Quindi andiamo all'Avana, troviamo la barca, scopriamo chi la possiede, dove stava andando, dove si trova ora e seguiamo la pista”.

Disse Maria. “Questo è quanto. Bixby sta lavorando su una tecnologia che ci dovrebbe aiutare. E non intendo essere invadente, ma il presidente Rutledge ha ci ha chiesto di agire il più presto possibile, quindi…”

“Possiamo parlare?” Zero sbottò all'improvviso, prima che Maria potesse dar loro ufficialmente l'ordine di agire. “In privato?”

“No”, rispose lei semplicemente.

“No?” Zero era senza parole.

Lei sospirò. “Mi dispiace, Kent. Ma so cosa vuoi dire e so che se lo facessi probabilmente mi arrenderei e proverei a rimuoverti dall'incarico. Ma è un ordine del presidente. Non mio, né del direttore Shaw…”

“E dov'è ora il direttore Shaw?” Chiese Zero animatamente. “A casa, non è vero? Si sta preparando per godersi il Ringraziamento con la sua famiglia?”

“Sì, Zero, proprio così”, rispose lei con fermezza. Non lo aveva mai chiamato Zero; dalla sua bocca, quel nome assumeva un tono di rimprovero. “Perché non è suo compito trovarsi qui. È il tuo. Proprio come non è mio compito mettermi nei guai per aiutarti ancora una volta. Il mio compito è di dirti dove devi andare e cosa deve fare”. Toccò due volte il tablet con un dito. “Devi andare qui. E fare ciò che ti ho detto”.

Zero fissò il piano del tavolo liscio e lucido. Aveva stupidamente pensato che lui e Maria potessero essere ancora amici dopo tutto quello che avevano passato. Ma alla fine, sarebbe finita così. Lei era il suo capo, e per la prima volta sentiva il peso della sua autorità su di lui.

La sensazione non gli piacque affatto, così come non gli piaceva che il presidente avesse chiesto esplicitamente che lui si occupasse di questo compito. Per quanto lo riguardava, era uno spreco delle sue capacità. Ma non disse nulla.

“Pensate alla situazione in cui ci troviamo”. Il tono di Maria si addolcì, ma non guardò direttamente nessuno dei due. “È in corso una guerra commerciale con la Cina. I nostri legami con la Russia sono quasi recisi. L'Ucraina non è contenta. Il Belgio e la Germania sono ancora in collera per quella che considerano un'operazione non autorizzata sul loro territorio. Nessuno si fida del nostro governo, né tantomeno della nostra gente. Non abbiamo nemmeno un vicepresidente”. Maria scosse la testa, e continuò: “Non possiamo permettere che ci sia un attacco sul suolo americano, anche se questa per il momento è solo una possibilità. Non se possiamo evitarlo”.

Zero voleva protestare. Voleva sottolineare che l'efficacia di due uomini piГ№ o meno qualificati, era irrisoria rispetto a uno sforzo congiunto delle forze dell'ordine. Poteva capire che non volessero che l'attacco avesse una forte risonanza pubblica, ma se volevano davvero trovare queste persone, se pensavano davvero che un attacco agli Stati Uniti fosse probabile, avrebbero potuto emanare un mandato di cattura, a partire dalle aree costiere di Florida, Louisiana, Texas, gli obiettivi piГ№ probabili considerando l'attacco dell'Avana. Chiedere al governo cubano di indagare sulla nave scomparsa. Lavorare insieme per proteggere i propri cittadini e chiunque altro possa essere ferito.

Zero stava per suggerirlo a voce alta, ma prima che ne avesse l'occasione, il cellulare di Maria suonГІ.

“Un attimo”, disse loro prima di rispondere: “Johansson”

Immediatamente il suo viso sbiancГІ e il suo sguardo incontrГІ quello di Zero. Aveva giГ  visto quell'espressione prima, molte volte, troppe a dire il vero. Era uno sguardo di shock e orrore.

“Mandami tutto”, disse Maria al telefono, con voce tremante. Poi terminò la chiamata, e Zero sapeva già cosa stesse per riferire loro.

“C'è stato un attacco sul suolo americano”.




CAPITOLO OTTO


Di giГ ? Zero era sbalordito dalla velocitГ  con cui era arrivato un attacco successivo: aveva chiaramente sottovalutato la gravitГ  della situazione.

Ma fu ancora piГ№ scioccato quando Maria disse loro dove si era verificato.

“L'attacco è avvenuto in una piccola città nel Midwest”. Maria scrutò lo schermo del tablet, leggendo rapidamente le informazioni che arrivavano in tempo reale. “Un posto chiamato Springfield, nel Kansas, ottocento cinquantuno abitanti”.

“Kansas?” Ripeté Zero. Se erano arrivati fino in Kansas dopo aver attaccato all'Avana, ciò significava che… “Devono aver viaggiato in aereo”.

“Il che significa che è un attacco pianificato”, aggiunse Strickland. Il giovane agente si alzò all'improvviso, come se ci fosse qualcosa che potesse fare in quel momento. “Ma perché? Cosa potrebbe esserci di significativo in un piccolo paesino nel Kansas?”

“Non ne ho idea”, mormorò Maria. Poi si portò una mano alla bocca. “Dio mio”. Guardò nuovamente Zero, con gli occhi spalancati. “Si stava svolgendo una parata. Con i ragazzi del college, famiglie e … bambini”.

Zero fece un respiro profondo, cercando di mantenere distaccata la sua sensibilità di padre ed ex professore dal suo ruolo di agente. “Vittime?”

“Non è chiaro”, riferì Maria, fissando il tablet. “È appena successo. La prima chiamata di emergenza si è verificata ventitré minuti fa. Ma…” aggiunse, poi s'interruppe. Fece un respiro profondo. “I resoconti dei primi soccorritori stimano sedici morti sulla scena. Probabilmente sono anche di più”.

Strickland camminava lungo la breve sala riunioni come una tigre in attesa di essere liberata da una gabbia. “Non possiamo presumere che le vittime siano tutte dovute agli effetti dell'arma. Alcune potrebbero essere state causate dal panico”.

“Ma forse è proprio questo il punto”, mormorò Zero.

“Aspetta, ci stanno mandando un video”. Maria inclinò il tablet e i due agenti si avvicinarono per vederlo insieme a lei. Lei premette play e sullo schermo comparve l'inquadratura traballante di qualcuno che filmava con un telefono cellulare. Stavano riprendendo la strada principale di una piccola città; si potevano vedere chiaramente i marciapiedi stipati di persone e sedie su entrambi i lati del viale.

Da dietro l'angolo arrivГІ un gruppo di giovani in divisa bianca e verde: una banda in marcia, che avanzava al ritmo dei propri strumenti; la musica si avvicinava sempre di piГ№, sovrastando il frastuono degli applausi e delle grida.

“Sono quasi arrivati, Ben!” disse allegramente una voce femminile, presumibilmente la voce della donna che stava filmando. “Sei pronto? Saluta Maddie!”

La telecamera si abbassГІ brevemente, mostrando un ragazzino che non avrebbe potuto avere piГ№ di cinque o sei anni con un enorme sorriso sul suo volto mentre salutava la banda in arrivo. Poi ritornГІ a inquadrare la strada, mostrando un gruppo di giovani in magliette verdi che seguivano la banda: una squadra di calcio che lanciava manciate di caramelle da enormi secchi.

Un nodo di terrore si formГІ nello stomaco di Zero, sapendo del disastro che stava per colpirli.

Tuttavia, la transizione non fu improvvisa. Al contrario, fu lenta e bizzarra e si sviluppГІ in vari secondi. Zero si avvicinГІ, apprensivo ma anche rapito.

Prima di tutto, la telecamera si abbassò leggermente e la donna che la azionava mormorò: “Qualcun altro lo sente? Che cos'è?”

Quasi allo stesso tempo, diversi membri della band smisero di suonare. La musica cessГІ progressivamente e venne sostituita dalle grida confuse delle persone.

Una tromba cadde per terra. Poi un corpo. I membri della banda incespicavano. Dietro di loro, caddero anche alcuni giovani in maglietta. La telecamera tremГІ terribilmente mentre la donna si muoveva ansiosamente guardando a destra e a sinistra, cercando l'origine del suono o forse cercando semplicemente di capire cosa stesse succedendo.

“Ben?” strillò. “Ben!”

Molte urla si levarono dalla folla in tumulto. Per alcuni secondi, Zero fu testimone del caos assoluto; gente che correva l'uno sopra l'altro, tenendosi la testa e lo stomaco e cadendo rovinosamente. Poi il telefono cadde in strada e lo schermo diventГІ nero.

“Gesù”, mormorò Strickland.

Zero si strofinò il mento mentre si allontanava dal tavolo. In parte aveva ragione; era vero che un singolo fucile d'assalto avrebbe fatto più danni, ma questo, una forza invisibile, un'arma nascosta, nessun assalitore in vista, era decisamente straziante. Aveva semplicemente spazzato la strada come una brezza lenta, colpendo centinaia di persone in pochi secondi. Se un video del genere venisse diffuso…

“Questo video è pubblico?” chiese.

“Spero di no”, disse Maria, pensando chiaramente ciò che pensava lui. “Veniva dal dipartimento di polizia di Springfield, che è …” Consultò di nuovo il tablet. “Composto solamente da cinque ufficiali. Noi facciamo ciò che possiamo, ma dubito che riusciranno a tenerlo nascosto”.

“Se questo video viene divulgato, la gente andrà nel panico”, osservò Strickland.

“Esatto”, concordò Zero mentre elaborava una teoria ad alta voce. “All'Avana, hanno colpito un distretto turistico affollato. In Kansas una parata popolare. Aree popolate, apparentemente a caso. Forse stanno provando a dimostrare che la loro arma è solo un catalizzatore e che la folla farà molti più danni da sola”.

“Quindi potrebbe essere un messaggio, dopo tutto”, concluse Strickland mentre camminava per la sala conferenze.

Era l'unica ipotesi che sembrava aver senso in quel momento; un attacco a una città così piccola non poteva che essere un tentativo di far apparire i propri bersagli come casuali per seminare panico e confusione. “Ma se fosse così, cosa accadrebbe se arrivassero a New York City? O a Washington, DC?”

Strickland smise immediatamente di camminare. “In poche parole, ci stanno minacciando. Ci stanno dicendo che il loro prossimo attacco potrebbe essere ovunque. In qualsiasi momento”.

“Finora le autorità locali non sanno dare una spiegazione a ciò che è successo”, annunciò Maria. “Sembra che nessun altro oltre a noi stia collegando l'accaduto all'attacco all'Avana, per ora”.

“Ma non appena lo faranno”, aggiunse Zero, “nessuno si sentirà al sicuro”. Già immaginava lo scenario in cui una semplice passeggiata lungo una strada trafficata potesse concludersi con un attacco ad ultrasuoni. Senza sapere cosa stesse succedendo, da dove venisse o come fare per fermarlo.

Era un pensiero terrificante.

Il tablet di Maria squillò all'improvviso. Zero riuscì a scorgere una chiamata in arrivo sul server crittografato della CIA, ma sul display si leggeva esclusivamente la scritta “SICURO”.

Maria fece un sospiro e rispose. Era una videochiamata; improvvisamente apparve una donna bruna vestita elegantemente, solenne come una statua.

“Vicedirettore”, disse la donna.

“Signorina Halpern”.

Zero non riconobbe il volto della donna, ma conosceva il nome; Tabitha Halpern era il capo di stato maggiore della Casa Bianca sotto il presidente Rutledge. E conosceva abbastanza bene lo sfondo dietro di lei. Era seduta nella Stanza delle Decisioni, un posto in cui si era trovato molte volte prima di allora.

“Qui con me c'è il presidente”, disse Halpern. “Vorrebbe dirle alcune cose”. Poi ruotò lo schermo fino ad inquadrare Jonathan Rutledge, seduto a capotavola. Indossava una camicia bianca con le maniche raccolte fino ai gomiti, una cravatta blu annodata al collo e un'espressione stanca sul viso.

“Signor presidente”. Disse Maria. “Mi dispiace che si debba trovare in quella stanza per due volte in un giorno”.

“Quindi ha sentito?” Disse Rutledge, saltando le formalità.

“Sì, signore. Proprio ora”.

“È lui l'uomo dietro di lei? Vorrei parlargli”.

Zero non si era reso conto di essere parzialmente inquadrato dalla fotocamera e se avesse saputo che avrebbe fatto una videoconferenza con il Presidente, avrebbe indossato qualcosa di piГ№ elegante di una maglietta e una giacca leggera. Maria gli passГІ il tablet e lui lo tenne di fronte a sГ©.

“Quindi sei tu l'uomo che chiamano Zero”, disse semplicemente Rutledge.

“Sì, signore, signor Presidente”, rispose lui con un cenno brusco. “È un peccato doverci incontrare in queste circostanze”.

“Già”. Rutledge si massaggiò il mento. C'era qualcosa in lui che sembrava… beh, a Zero sembrava non proprio presidenziale. Sembrava perso. Sembrava un uomo spaesato. “Hai visto il video dell'attacco, agente?”

“Si, signore. Proprio ora. È terribile a dir poco, ma è la prima parola che mi viene in mente”.

“Terribile. Già”. Il Presidente annuì con sguardo perso e lontano. “Ha figli, agente Zero?”

Era una domanda strana, soprattutto se posta a un agente segreto la cui identità doveva essere riservata, ciò nonostante Zero gli disse: “Sì. Due figlie”.

“Anch’io. Di quattordici e sedici anni”. Rutledge appoggiò i gomiti sul tavolo e guardò Zero negli occhi, per quanto possibile attraverso una fotocamera. “Ho bisogno che trovi queste persone. Che trovi quest'arma. Che metta fine a tutto questo. Per favore. Non può accadere di nuovo”.

Anche in circostanze normali, e non era certo questo il caso, Zero non avrebbe mai potuto rifiutare un ordine del Presidente degli Stati Uniti. Tuttavia, non aveva bisogno che Rutledge lo implorasse di affrontare l'operazione. Da quando Maria aveva annunciato un attacco al suolo americano aveva capito che non avrebbe potuto sottrarsi all'incarico. Era scritto nel suo DNA; se avesse potuto fare qualcosa al riguardo, l'avrebbe fatto.

“Lo farò”. Poi diede un'occhiata a Strickland e si corresse. “Lo faremo, signore”.

“Bene. E dì a Johansson di mettere tutte le risorse possibili a tua disposizione”.

Zero si accigliГІ; era una strana affermazione, probabilmente destinata piГ№ a Maria che a lui.

“Buon lavoro”, disse Rutledge, e concluse bruscamente la videochiamata.

Zero restituì il tablet a Maria, che immediatamente controllò gli aggiornamenti in arrivo dal Kansas.

Strickland sospirò. “C'è solo un problema. L'Avana ora è un vicolo cieco, e se possono viaggiare così velocemente come hanno fatto, probabilmente non ci sarà nulla in Kansas. Abbiamo ancora meno tra le mani rispetto a prima”.

“Questo non è del tutto vero”. Disse Maria alzando gli occhi dal tablet. “Un testimone oculare a Springfield, un uomo anziano, ha riferito di aver superato una donna per strada pochi istanti prima dell'attacco: una donna bianca con dei capelli rosso vivo. Proprio come a Cuba. E quest'uomo afferma di averla sentita parlare russo in una radio”.

“In russo?” Ripeté Zero. Non avrebbe dovuto sorprendersene, dopo tutto quello che era successo nell'ultimo anno e mezzo. Ma le trame precedenti avevano coinvolto cabale segrete, enormi somme di denaro, persone potenti. Questa volta non sembrava esserci niente di simile, e non riusciva ad immaginare alcuna ragione per quell'attacco ad eccezione di una sorta di desiderio di vendetta.

“Anche così”, sottolineò Strickland, “sapere di una ragazza russa con i capelli rossi non restringe di molto il campo d'azione”.

“Hai ragione”. Maria tirò fuori il cellulare. “Ma qualcos'altro può aiutarci”. Premette un pulsante e poi disse al telefono: “Sto scendendo. Ho bisogno dell’OMNI”.

“Che cos'è l’OMNI?” Chiese Strickland precedendo Zero.

“È … complicato”, disse Maria in modo criptico. “Vi faccio vedere”. Si alzò dalla sedia, portando con sé il tablet mentre si dirigeva verso la porta.

Zero sapeva che “scendere” probabilmente significava andare al laboratorio di Bixby, il braccio sotterraneo di ricerca e sviluppo dell'Agenzia Centrale di Intelligence. Erano già in un piano sotterraneo e l'eccentrico ingegnere era l'unico a trovarsi sotto di loro, almeno per quanto ne sapeva Zero.

Ormai sapeva anche che non sarebbe tornato a casa, non avrebbe cenato con le sue ragazze. Una volta usciti nel corridoio vuoto, disse: “Aspettate. Posso fare una chiamata?”

Maria esitò, ma annuì. “Va bene. Ma fai in fretta. Ci vediamo agli ascensori”. Entrambi si diressero verso il corridoio mentre Zero tirava fuori il suo cellulare, insieme alla piccola tessera bianca che gli aveva dato Strickland.

Stava per far partire la chiamata, ma all'ultimo cambiò idea e aprì l'applicazione per effettuare videochiamate, tenendo il telefono dritto davanti a sé e inquadrando il proprio viso.

Il telefono squillò una sola volta prima che Maya rispondesse. Il suo volto era pieno di preoccupazione, e da ciò che riusciva a scorgere dietro di lei, si trovava in cucina. “Papà?”

“Maya. È successo qualcosa”.

“Lo so”, disse lei triste. “Ho seguito le notizie da quando sei uscito”.

“È già sulle notizie?”

“C'è un video”, rispose lei. “Fatto da qualcuno che era lì”.

Zero fece una smorfia. Se il video fosse giГ  trapelato, non ci sarebbe stato modo di nasconderlo. A questo punto con ogni probabilitГ  si trovava giГ  sui social media, il che significava che in pochi minuti sarebbe stato virale, condiviso mille volte su milioni di schermi.

E a giudicare dall'espressione di Maya, lei l'aveva trovato spaventoso quanto lui. E se così fosse, avrebbe capito che non aveva altra scelta.

“Papà, che diavolo era?” chiese lei.

“Non posso dirlo”, le disse, cercando di essere il più vago possibile. “Dobbiamo trovare le persone responsabili di tutto questo. Il che significa che ho bisogno che tu faccia qualcosa per me… e per tua sorella”.

“Certo”, disse immediatamente. “Qualsiasi cosa”.

“Grazie. Ma prima… puoi chiamarmi Sara?”

“Un attimo”. Lo schermo si mosse e Maya passò il telefono alla sorella; un attimo dopo, Sara lo guardava attraverso il piccolo schermo, con uno sguardo piatto e la voce rotta. “Non torni a casa, vero?”

“Sara. Sai che non vorrei essere da nessun’altra parte se non a casa con te…”

“Papà”, lo interruppe lei, “non devi parlarmi come se fossi una bambina”.

“Per favore”, implorò lui, “lasciami finire. Devo dirti delle cose e non ho molto tempo”. Prese fiato e raccolse i suoi pensieri. “Non vorrei essere da nessun'altra parte se non a casa con te e non vorrei che tu stessi da nessun'altra parte se non a casa con me. Ma hai ragione; non sei più una bambina. Non posso trattarti come se lo fossi. Sappiamo entrambi che hai bisogno di più di quello che io posso offrirti”.

Sara capì immediatamente cosa stesse suggerendo. “Non voglio andare in uno di quei posti. Non sono per le persone come me”.

Sono proprio per persone come te, pensò, ma non lo disse per evitare che il discorso evolvesse in un litigio. “Questo lo è”, le disse. “È un bel posto, a Virginia Beach. Me lo ha consigliato Strickland. Anche lui ha passato un po' di tempo lì in passato. Tu ti fidi di lui, non è vero?”

Sara rimase in silenzio. Zero sapeva la risposta, ma ammettere che si fidava di lui significava cedere alla sua proposta. “Io voglio stare con te”, disse Sara. “Sto molto meglio. Non ho bisogno della riabilitazione”.

“Ne hai bisogno”, ribatté Zero, mantenendo un tono dolce e gentile. “Non vuoi ammetterlo, perché…” Un sorriso triste comparve sulle sue labbra. “Perché sei più simile a me di quanto tu voglia ammettere. Pensi come me. Hai fatto grandi progressi nelle ultime quattro settimane, ma hai sempre cercato una via di fuga nella tua testa. L'ho visto nei tuoi occhi. Pensavi a come farti una dose. Dove avresti potuto andare. Quanto lontano saresti potuta arrivare”.

Sara non negГІ, ma non lo guardГІ negli occhi.




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